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Il Pd e la resistibile tentazione del Mattarella bis

Passano i giorni e l’operazione Draghi al Quirinale si fa in salita. Alla vigilia di una riunione chiave il Pd pensa a un piano B. Per un bis del premier a Chigi serve un bis di Mattarella al Colle. Ma le manovre di Berlusconi rendono tutto più complicato

“Grande è la confusione sotto al cielo, la situazione è eccellente”. Serve rispolverare Mao Zedong – versione Zerocalcare – per addentrarsi nell’allegro caos che agita il Pd all’ombra del Quirinale. A dieci giorni dalla prima chiama a Montecitorio naviga a vista anche il partito che, almeno sulla carta, dovrebbe avere le idee più chiare.

La linea ufficiale, quella sì, è rimasta la stessa. C’è una sola “opzione A” per il Colle e si chiama Mario Draghi. Lo ha ribadito martedì mattina Enrico Letta in una riunione della segreteria: in assenza di un’altra figura trasversale, super partes, che non c’è, adelante con Super Mario. Ma i conti si devono fare con l’oste e quella che sembrava una candidatura in discesa nelle ultime settimane ha iniziato a ruzzolare.

Il primo inciampo nella conferenza stampa di fine anno. Dove il premier si è proposto con discrezione – “Abbiamo raggiunto tutti i 51 obiettivi del Pnrr”, tradotto: “Il mio lavoro qui è finito” – e ha dovuto constatare il gelo dei partiti. Non una nota, tantomeno un tweet di sostegno dai leader. Il secondo con le nuove misure per contrastare il Covid, spiegate poco e tardi con tanto di scuse del premier, che hanno inserito un cuneo tra la Lega e Palazzo Chigi.

Se a questo si aggiunge un centrodestra avvitato su un’improbabile, ingombrante candidatura di Silvio Berlusconi si ha un’idea della rotta (di collisione). “Vengono da noi a dirci: parlateci voi con Silvio”, racconta dei colleghi leghisti e forzisti un dem di peso visibilmente divertito.

Al Nazareno vige un clima di attesa. Occhi puntati sull’assemblea congiunta dei Cinque Stelle insieme al capo Giuseppe Conte, questo pomeriggio. Che difficilmente partorirà un vademecum definitivo, dopo settimane in cui dalle fila grilline è uscito di tutto. Giovedì sarà il turno dei dem, con una riunione su Zoom. Qui si deciderà se proseguire con il piano A a tutti i costi, oppure virare sull’unica alternativa possibile: convincere Sergio Mattarella di restare al Quirinale.

La prima finestra si sta socchiudendo. Un’elezione di Draghi entro le prime tre votazioni, con una maggioranza qualificata, si può sperare solo con un patto ufficiale tra segretari e capi-partito. Speranza vana, se Berlusconi continua a scommettere su se stesso e a chiedere a metà Parlamento di sostenerlo, con buona pace di chi lo immaginava “king-maker”.

Se Draghi sarà, si saprà più probabilmente dalla quarta votazione in poi. Ma qui si entra in un terreno scosceso, l’imprevisto è dietro l’angolo. Per di più eleggere Draghi con un margine ristretto non sarebbe un trionfo di unità nazionale per un premier che oggi è alla guida della maggioranza più ampia della storia repubblicana.

Convincere l’ex presidente della Bce a rimanere a Palazzo Chigi, però, è operazione per niente scontata. Il premier ha già fatto sapere in tutti i modi che non accetterà di restare a qualunque condizione. In ballo c’è il Pnrr e i fondi europei non atterreranno da soli. C’è solo uno scenario allora che potrebbe convincere Draghi a restare a Chigi: un bis di Mattarella.

Di questo si è convinto tutto il Pd, “sarebbe il massimo”, ha confessato Letta da Giovanni Floris. Molto meno il diretto interessato. Dal Quirinale filtra da mesi una sola risposta: grazie, ma no. C’è una premura istituzionale: la Costituzione non prevede un bis e l’attuale Capo dello Stato non ha intenzione di ripetere l’esperimento di Napolitano, facendo dell’eccezione la regola. Ma c’è anche una constatazione più politica.

Allora, nel 2013, l’intero Parlamento è andato in ginocchio da “Re Giorgio” a chiedere il bis. Oggi di quella processione non c’è traccia: né Matteo Salvini, né Giorgia Meloni (che pure non disdegnerebbe) possono o vogliono tradire così platealmente le aspettative del padre nobile di Arcore. Di qui l’inevitabile: in queste condizioni, Mattarella sarebbe rieletto come presidente “di parte”. Ipotesi che non è neanche pronto a prendere in considerazione.

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