Il presidente Raisi ha interesse a riaffermare il ruolo iraniano in Medio Oriente, ma potrebbe anche continuare a cercare in Asia Centrale uno sfogo geopolitico pragmatico seguendo la linea di Rouhani
Pressato nel Medio Oriente dai rivali del Golfo, Israele e Stati Uniti, l’Iran cerca sfogo geopolitico in Asia Centrale, sfruttando il lungo confine orientale oltre il Mar Caspio, la Valle del Kashfarud e i valichi di Taybad e Malik. Una regione piena di complessità, dove non solo incontra la presenza competitiva di Russia, Cina e Turchia, ma anche l’instaurarsi di situazioni complicate come il ritorno al potere dei Talebani in Afghanistan o la crisi istituzionale in Kazakistan, spaventosa proprio per il rischio di ricadute regionali.
La scorsa primavera questo interessamento è diventato più esplicito con le tre visite tra Dushanbe e Teheran di funzionari iraniani e tagiki in meno di due mesi: un segno significativo che dopo anni di relazioni fredde, i rapporti diplomatici stavano finalmente migliorando. L’allora ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, in quello stesso periodo aveva concluso un grand tour (5-8 aprile) nelle rimanenti quattro repubbliche dell’Asia centrale.
La politica del “Look East” è diventata l’idea centrale dell’approccio iraniano post-Jcpoa alle relazioni internazionali. E Teheran considera l’Asia centrale una “regione ponte” tra l’Iran e l’Oriente, ambito in cui i Paesi mediorientali vedono proiettata la loro prosperità economica per il futuro. Durante l’ultima decina d’anni le relazioni della Repubblica islamica con la regione sono state in gran parte stagnanti, a tratti in declino, con fiammate su importanti accordi infrastrutturali: possibile che nel futuro prendano una costanza più vivace.
Lo shift pensato dall’amministrazione del presidente Hassan Rouhani è diventato degno di attenzione, anche perché il suo successore, Ebrahim Raisi, seppure distante dal punto vista ideologico (pragmatico-riformista il primo, conservatore l’altro), potrebbe essere interessato a muoversi sulla stessa rotta nell’ottica di un pragmatismo necessario, anche per evitare il peso delle ripercussioni della potenziale non-ricomposizione dell’accordo sul nucleare Jcpoa e la non-eliminazione delle sanzioni americane collegate.
Tra le ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, il Tagikistan ha sperimentato la più rapida intensificazione delle relazioni con l’Iran. Un avvicinamento forse anche collegato con la recrudescenza delle tensioni di confine con il Kirghizistan, con i tagiki che hanno ricevuto già supporto dalla Repubblica islamica su questioni di sicurezza interna in passato, come l’insurrezione a Khudayberdiev nel 1998.
Le relazioni bilaterali sono in rapida crescita anche con l’Uzbekistan: il commercio reciproco è aumentato del 38 per cento già nel 2019. Teheran e Tashkent hanno anche tenuto strette consultazioni sul processo di pace afghano, che ha preoccupato l’Iran. La cooperazione iraniano-uzbeka ha portato a progetti di sviluppo regionale congiunti: per esempio la ferrovia Herat-Mazār-i-Sharīf diventerà un corridoio di transito strategico tra i due paesi, collegando l’Iran all’Asia centrale attraverso l’Afghanistan, e bypassando il Turkmenistan. Se l’India sarà il principale partner che collegherà questa tratta al corridoio di trasporto internazionale nord-sud (INSTC) trans-eurasiatico, la presenza di certe infrastrutture in una regione di collegamento verso l’Europa ha reso l’Iran più attrattivo anche agli occhi della Cina, effetto secondario delle politiche centro-asiatiche di Teheran da integrare per quanto possibile nella Belt & Road Initiative.
La Repubblica del Kirghizistan è poi l’unico Paese della regione ad aver firmato una tabella di marcia decennale per la cooperazione con l’Iran (era il 23 dicembre 2016). Teheran ha consegnato due spedizioni di aiuti umanitari al Kirghizistan durante la prima ondata della pandemia (la dimensione è quella della diplomazia epidemica), e ha aperto un complesso sportivo a Osh lo scorso dicembre. Il Kirghizistan è anche il primo stato dell’Asia centrale ad essersi assicurato uno spazio di attracco e strutture associate nel porto strategico iraniano di Chabahar, sul Golfo dell’Oman; e nel 2020 i due paesi hanno anche aperto congiuntamente il corridoio di transito Kirghizistan-Tajikistan-Afghanistan-Iran (KTAI) dall’Afghanistan (altra direttrice che interessa la Cina).
Poi c’è il Kazakistan, Paese che è stato ambito di dialoghi diplomatici per l’Iran; ha ripetutamente ospitato i negoziati nucleari iraniani e ha fatto da cornice al processo di Astana — la piattaforma comune tra Iran, Turchia e Russia per risolvere la crisi siriana. Negli ultimi mesi, nel tentativo di coltivare i legami con l’amministrazione Biden, il Kazakistan si è mostrato disposto a svolgere un ruolo di mediazione nei colloqui per salvare il Jcpoa. Oltre alla risoluzione dei conflitti internazionali, l’Iran e il Kazakistan collaborano strettamente su questioni di transito: il corridoio ferroviario del Caspio Orientale è stato aperto nel novembre 2014, collegando il Kazakistan ai confini meridionali dell’Iran. E più recentemente, nel novembre 2020, il primo carico è stato spedito via mare da Amirabad, in Iran, al porto Kuryk del Kazakistan, nel Caspio.
Le relazioni più complesse per Tehran sono con il Turkmenistan, bloccate in dispute legali nei tribunali internazionali per via di questioni collegate al gas naturale. Ashgabat ha ripetutamente chiuso le sue frontiere (il confine che divide i due paesi è lungo 1148 chilometri) a causa della pandemia di coronavirus, ostacolando così notevolmente le rotte commerciali internazionali nella regione ( i transiti sono stati più o meno fluidi lungo il valico di frontiera iraniano di Sarakhs con il Turkmenistan ma il passaggio ferroviario di Incheboroun è rimasto chiuso per quasi sei mesi e Lotfabad per nove, con le chiusure imposte anche per ripicche geopolitiche oltre che per sicurezza sanitaria. Il presidente Gurbanguly Berdimuhamedov ha visitato l’Iran diverse volte tra il 2007 e il 2014, ma da allora non è più tornato a Teheran.
I leader dell’Asia centrale sono consapevoli del nuovo approccio di Teheran, e allo stesso tempo percepiscono che tra gli obiettivi narrativi di Raisi c’è la necessità di riaffermare la presenza iraniana in Medio Oriente per non apparire remissivo davanti ai rivali. Tuttavia Teheran potrebbe trovare in Asia Centrale un contesto generalmente pronto a offrire concessioni speciali in cambio della risoluzione delle rimanenti sfide bilaterali e dell’apertura di nuove opportunità di cooperazione.