L’idea di un Media Freedom Act rappresenta un’iniziativa di portata storica. Secondo la roadmap della Commissione, una proposta formale dovrebbe essere adottata entro il terzo quadrimestre del 2022. Ecco i cinque pilastri su cui si baserà
È stato reso noto solo da qualche giorno il testo della consultazione pubblica europea, che resterà aperta ai commenti di chiunque fino al 22 marzo. Autorità pubbliche nazionali, regionali e locali, imprese, società civile ma anche singoli cittadini: tutti sono chiamati a esprimersi sui temi della consultazione, al fine di orientare al meglio la futura proposta della Commissione intesa a salvaguardare il pluralismo dei media.
L’idea di un Media Freedom Act rappresenta un’iniziativa di portata storica: lo ha detto la presidente Ursula von der Leyen, includendola fra gli obiettivi fondamentali dell’Ue nel suo discorso sullo Stato dell’Unione – 2021. Secondo la roadmap della Commissione, una proposta formale dovrebbe essere adottata entro il terzo quadrimestre del 2022.
MA IN COSA CONSISTERÀ IL MEDIA FREEDOM ACT?
Qualche indizio sui contenuti può essere tratto dal questionario della consultazione. Obiettivo della proposta sarà quello di migliorare la cornice di regolazione dei media in Europa, attraverso un potenziamento della Direttiva SMAV sulla fornitura di servizi media e audiovisivi, modificata da ultimo nel 2018. Questo atto, infatti, contiene già delle previsioni a tutela dell’indipendenza nel settore dell’informazione. Norme che attribuiscono una competenza di monitoraggio globale alle autorità indipendenti di ciascun Paese, riunite in un gruppo europeo denominato ERGA. Le cinque sezioni della consultazione si prestano bene a identificare cinque possibili assi di intervento del Media Freedom Act.
PRIMA SEZIONE: I PRINCIPI
La prima parte del questionario, infatti, ha tutta la vocazione a stimolare un dibattito sui principi generali che informeranno il futuro atto legislativo. La necessità di assicurare e riconoscere a livello europeo le specificità legate all’indipendenza dei media dipende dal quadro in cui operano questi ultimi. Come è stato messo in evidenza dalle relazioni della Commissione sullo stato di diritto per il 2020 e il 2021 nonché dal Media Pluralism Monitor (MPM), l’integrità dei media e la libertà del giornalismo in Europa si sta deteriorando, minacciando da vicino la salute della democrazia e il rispetto dello stato di diritto.
I pericoli sono di vario tipo: dalla più ovvia considerazione dell’aumento dei fenomeni di estremismo politico, legati alla predicazione verbalmente violenta – ma con toni antisistema – dei leader populisti, alle c.d. SLAPPs (Strategic Lawsuit Against Public Participation), ossia le azioni legali tese ad ammutolire la stampa e i giornalisti che remano contro il potere. Ci sono rischi più sottili, come quelli legati alla concentrazione degli assetti proprietari (un dato sistemico in Italia e in Francia, per fare alcuni noti esempi) e alla poca trasparenza delle operazioni di mercato che coinvolgono uno o più organi di informazione. Ma anche la pandemia ha fatto la sua parte, mostrando i nervi scoperti del business model del settore dei media, fondato su introiti pubblicitari volatili e su una domanda di informazione in lento ma costante crollo.
La rivoluzione digitale e la globalizzazione, inoltre, hanno influito sulle vicende di trasformazione del sistema mediatico, costretto a trasferire parte dei contenuti sulle piattaforme online. Questo, da un lato, aumenta la diffusione dell’informazione e la consapevolezza dei cittadini ma, dall’altro lato, coesiste con la presenza abbondante e non regolamentata di fonti di informazione concorrenti non affidabili, non rispettose di alcun principio deontologico o, peggio, manipolate da autorità o soggetti privati stranieri, rivolti ad influenzare in maniera negativa i processi elettorali e di decisione pubblica. Il difficile sradicamento delle fake news dimostra, ad esempio, come sottolinea la vicepresidente Věra Jourová, che la democrazia non può essere data per scontata, ma deve essere protetta e corroborata.
Mantenere un sistema mediatico sano e solido nel lungo periodo rappresenta un imprescindibile supporto per la tutela della democrazia in Europa: per questo gli Stati Membri, attraverso il Consiglio, si sono già impegnati nell’individuazione di soluzioni volte a supportare finanziariamente i media fragili, specialmente quelli che sono espressione di minoranze politiche o linguistiche, nell’ottica della tutela della diversità, del pluralismo e della libertà d’espressione.
SECONDA SEZIONE: REGOLE SULLA TRASPARENZA E SULL’INDIPENDENZA
A tal fine, la sezione seconda del questionario guarda alla trasparenza e all’indipendenza dei soggetti che operano sul mercato dei media: in questo senso, il Media Freedom Act potrebbe contenere previsioni uniformi riguardanti la trasparenza degli assetti proprietari e l’uniformità dei metodi per il calcolo dell’audience. Per avere consapevolezza degli interessi che si annidano dietro un certo tipo di informazione, infatti, il cittadino deve poter conoscere da chi sono controllate le società mediatiche e a quali interessi si rivolgono. Al contempo, la frammentazione delle informazioni sugli assetti proprietari rappresenta una potenziale barriera agli investimenti, impedendo alle società operanti nel mercato di operare in maniera certa. Bisogna, però, tener conto del fatto che il settore dei media, che come diceva Burke, è il vero “quarto potere” dello Stato, pietra angolare della democrazia, non può sottostare alle mere logiche di mercato: certe operazioni è giusto che avvengano sotto il controllo e la vigilanza dello Stato. Un’armonizzazione di tali regole o la previsione di standard comuni potrebbe eliminare ulteriori ostacoli fra Stati membri.
TERZA SEZIONE: LA SALUTE DEL MERCATO DEI MEDIA
Nella terza sezione, poi, la Commissione chiede ai cittadini quali siano le condizioni per un sistema mediatico sano e si propone di valutare la previsione di regole riguardanti la tutela della diversità dei contenuti sulle piattaforme online, specialmente in periodo elettorale (si pensi alla nostra par condicio), nonché capire come ottenere un’equilibrata copertura delle notizie, nell’ottica di evitare inutili intralci per le imprese e creare un mezzo per assicurare l’indipendenza editoriale. A tal fine, l’idea sarebbe quella di prevedere meccanismi di cooperazione fra gli Stati membri che abbiano un carattere maggiormente vincolante rispetto agli atti di self-regulation e di co-regulation attualmente esistenti (si pensi, ad esempio, al MoU).
QUARTA SEZIONE: MEDIA E STATO
La quarta sezione, invece, si incentra sui mezzi di informazione statali, cercando di capire quali possano essere le strategie migliori per evitare interferenze governative e politiche sui media nazionali, sulla loro governance e gestione. Il rischio, infatti, è che il finanziamento pubblico possa, oltre che minare l’indipendenza editoriale, falsare la concorrenza dei media in Europa. Ne discende la necessità di individuare regole riguardanti la pubblicità di Stato, che può essere un ulteriore mezzo di interferenza.
QUINTA SEZIONE: GOVERNANCE
Infine, la quinta sezione esamina la possibilità di creare una struttura istituzionale che possa sovrintendere alla corretta implementazione del Media Freedom Act: le opzioni al vaglio sono varie. Il gruppo ERGA potrebbe assumere su di sé la gestione della governance, da solo o ‘rinforzato’. Al contrario, un’altra soluzione potrebbe essere quella dell’istituzione di una apposita agenzia indipendente a livello europeo. Infine, un’ultima opzione potrebbe vedere la nascita di una collaborazione fra ERGA e la Commissione.
BILANCIO FINALE
Trovandosi ancora a uno stadio iniziale, la proposta di un Media Freedom Act presenta (letteralmente) solo degli interrogativi. Saranno in molti a domandarsi con quale base giuridica l’Europa ha vantato la titolarità di una simile iniziativa. Eppure, come risulta dall’invito a presentare contributi (la c.d. call for evidence), un fondamento c’è: la legge sulla libertà dei media è prevista su attivazione della competenza ad adottare misure per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri (Art. 114 TFUE). Le misure di ravvicinamento, si badi bene, hanno come obiettivo il funzionamento del mercato interno. Sarà fondamentale, dunque, capire se questa proposta riuscirà bene a conciliare l’esigenza di creare un mercato dei media forte e competitivo con quella, speculare, di tutelare i diritti del cittadino europeo (diritto ad un’informazione corretta, ma anche libertà d’espressione).
La posta in gioco è alta, poiché si tratta di valutare quali effetti si produrranno sull’industria del settore audiovisivo e sul giornalismo tradizionale, già indebolito dalla pandemia. In che misura i nuovi obblighi di trasparenza e le regole anti-trust consentiranno alle imprese europee di tenere testa agli attori globali, soprattutto statunitensi ma – oramai – anche asiatici? Come scegliere la dimensione ottimale di una società o di un gruppo mediatico, impedendo conflitti di interessi, ma consentendo la nascita di soggetti forti, innovativi, competitivi e genuinamente europei? Non va dimenticato, infatti, che la deontologia e la professionalità di tale settore, fondato su una tradizione secolare, si trova a dover fare i conti con le condizioni dettate dalle VLOPs (Very Large Online Platforms), che operano in un regime spregiudicato di quasi-monopolio. La sfida europea, allora, è davvero difficile: let the games begin.
Le opinioni espresse nel presente articolo sono frutto della rielaborazione personale dell’autore e non rappresentano le istituzioni citate.