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Dal Mali al Kazakistan, l’inverno freddo di Putin. Parla Caracciolo

Ucraina, Bielorussia, Kazakistan, Mali. Sono tante, troppe le crisi che un governo russo vessato dalla pandemia e dalla stagnazione economica deve affrontare. Lucio Caracciolo, fondatore e direttore di Limes, spiega perché la coperta di Vladimir Putin diventa sempre più corta

Anche Vladimir Putin può soffrire il gelo dell’inverno russo. La coperta strategica di un Paese con 20mila chilometri di confini terrestri rischia oggi di diventare troppo corta. Ucraina, Bielorussia, Kazakistan. Sono tante le crisi da affrontare insieme, spiega Lucio Caracciolo, direttore e fondatore di Limes. Sullo sfondo, una missione in Mali portata avanti dai mercenari della Wagner che dovrebbe allarmare non poco Roma e Bruxelles.

Partiamo dal Kazakistan. La “Nato” dell’Est, il Csto, sta aiutando il presidente Tokayev a sopprimere con la forza le proteste per il caro-energia, le truppe russe marciano ad Astana. Per Putin è una buona notizia?

Tutt’altro: per Putin la crisi in Kazakistan è una pessima notizia. Coincide con quelle in corso in Bielorussia, Ucraina, Azerbaijan, le frontiere occidentale e meridionale sono in fibrillazione. Il presidente russo non può permettersi di perdere altri cuscinetti che dividono il Paese dalla “minaccia” della Nato e dalla penetrazione islamico-jihadista.

Come andrà a finire?

La situazione è estremamente incerta, parliamo di un Paese complesso. Il Kazakistan è di fatto un continente, diviso tra clan nomadici e oligarchi. Una componente interna che è importante nella crisi attuale, dove la crisi economica ed energetica fa da sfondo a uno scontro per il potere tra bande.

C’è una regia esterna?

Di queste accuse non ci sono prove. Certo, se i Servizi occidentali sanno fare il loro mestiere sono consapevoli che questa crisi non dà una mano a Putin, ma a chi vuole metterlo in difficoltà.

Quante crisi può permettersi contemporaneamente Putin?

Meno di quante se ne sarebbe potute permettere anni fa. Anche se dietro le quinte, in Russia è già iniziata la transizione per il post-Putin. Il potere russo si sta riposizionando in vista della scadenza del mandato nel 2024: il presidente in teoria potrebbe restare, non è detto che abbia voglia di farlo.

Intanto?

Intanto si registra un crescente attivismo. Nelle forze armate, nei servizi segreti e tra oligarchi. Fra potentati energetici, con un’inedita serie di sgambetti tra due giganti come Rosneft e Gazprom.

La Nato è pronta a sedersi intorno a un tavolo con Putin per risolvere l’impasse ucraino. Come si muoverà Joe Biden?

Gli Stati Uniti vivono una fase critica a dir poco, che evidentemente consiglia a Biden e la sua amministrazione di non sovraesporsi. Nella telefonata con Putin, Biden ha dato l’impressione di lasciare campo libero, promettendo sanzioni in caso di un’invasione dell’Ucraina. Poi ha dovuto fare pubblicamente marcia indietro.

Dove si può trovare un compromesso?

La partita fondamentale a mio parere non è l’adesione dell’Ucraina alla Nato: Kiev non entrerà nell’alleanza. A fare la differenza piuttosto è il sostegno concreto che gli americani daranno al governo ucraino per far fronte alla minaccia russa con installazioni militari, basi missilistiche e munizioni.

Non c’è solo l’Eurasia. Anche in Africa la Russia muove le sue pedine, con le giubbe della Wagner che sfilano in Mali. Qual è la strategia?

Prima di rispondere, pongo io una domanda: perché in Mali ci sono i nostri uomini?

Che risposta si è dato?

Non ne ho una razionale. Abbiamo inviato asset importanti, tra cui forze speciali, nell’area più pericolosa del Mali per aiutare i francesi nella lotta al jihadismo. Ora i francesi battono in ritirata e noi ci troviamo in uno Stato inesistente, in mano a una giunta militare guidata da un filorusso.

Torniamo al primo punto: perché la Russia punta sull’Africa?

Non è la sola. Si può dire che sia in corso uno “Scramble for Africa” 2.0. All’instabilità endemica del continente si è aggiunto il progressivo ritiro strategico degli americani e la conseguente intraprendenza di altre potenze. Cinesi, turchi. Ora i russi, che stanno riattivando canali di influenza ex sovietici per ampliarli grazie alle loro capacità strategico-militari.

La Wagner, appunto.

La Wagner è un gruppo di mercenari, per lo più russi, usati come strumento di influenza estera. Una strategia adottata da tutte le potenze che possono permetterselo. Il punto semmai è un altro.

Quale?

Le mosse della Russia in Mali, come in Medio Oriente o in Asia, rispondono a logiche diverse. Ogni anno Mosca mette in sesto il bilancio federale grazie alla vendita di armi. Partecipare a guerre, guerriglie e spedizioni è una vetrina unica per questo arsenale. Dietro al piano strategico c’è un piano industriale, e non conta di meno.


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