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Il Quirinale e i settennati che hanno cambiato la Repubblica. Il libro di Breda

Il quirinalista del Corriere della Sera ha scritto un saggio, ricco di aneddoti e ricordi personali, sui presidenti della Repubblica che hanno abitato il Colle negli ultimi trent’anni. Su Mattarella, il giudizio è netto: “Ha fatto un miracolo e salvato l’Italia, nominando Draghi”

Probabilmente solo lui avrebbe potuto scrivere un libro così. Coniugando la maestria della penna al privilegio di aver vissuto da vicino, anzi da vicinissimo, gli ultimi trent’anni del Quirinale. L’aver seguito passo passo gli avvicendamenti dei presidenti, fino a stabilire con loro una forma di garbata confidenza. Con qualcuno più di altri, s’intende. Mancano pochissime ore al primo scrutinio per eleggere il prossimo presidente della Repubblica. Sarebbe una preziosa occasione, per tutti a partire dai politici, approfittarne per leggere Capi senza stato’ – I presidenti della Grande Crisi Italiana (Marsilio)In questo volume, che più di un saggio politologico è un vero e proprio viaggio nella memoria. Un affresco che rivitalizza personaggi che hanno caratterizzato la storia dell’Italia più recente e tratteggia, anche umanamente, personalità contemporanee. Marzio Breda, quirinalista del Corriere della Sera, ha compiuto un’opera straordinaria che ha il merito, se non altro, di mettere un po’ d’ordine nella grande cortina fumogena che avvolge il Quirinale in particolare in questo periodo febbrile.

Nella sua recensione su Libero, Vittorio Feltri definisce Breda come un “padiglione istituzionalizzato” del palazzo in cui risiede la più alta carica dello Stato. E, in qualche modo, questa immagine forte restituisce il senso della consustanzialità del giornalista del Corriere al Quirinale.

Il libro tratta dei cinque presidenti che Breda ha avuto modo di incontrare, di conoscere e di raccontare. Da Francesco Cossiga, con il quale si apre il primo capitolo e dalla cui provocazione sulle “ambiguità” dei poteri del presidente della Repubblica prende le mosse l’intera opera del giornalista, a Oscar Luigi Scalfaro eletto al Colle “per disgrazia ricevuta” e del quale si ricordano le opposizioni alle “prime forme di populismo”. Il “presidente di opposizione” che ha voluto “rianimare il patriottismo costituzionale”, Carlo Azeglio Ciampi. Poi c’è Giorgio Napolitano con il quale – curiosità – Breda condivide l’amicizia con lo scrittore Claudio Magris che ha declinato l’offerta di diventare senatore a vita. Della lunga permanenza di Napolitano al Colle, il quirinalista del Corriere ne tratteggia le luci e soprattutto le ombre. Anche determinate da fattori esogeni come i dossieraggi giornalistici in particolare dell’ “asfissiante polemista”  – come lo definisce Breda – Marco Travaglio. La scalata a vie delle Botteghe Oscure negli arrembanti anni giovanili nel Pci, le controversie politiche, la “breve navigazione” di Enrico Letta nel Pd, scalzato dal rottamatore Matteo Renzi. Prodi, Berlusconi. Infine, al Colle, Sergio Mattarella.

Le parole di Breda trasudano rispetto, stima e finanche una forma di legame affettivo nei confronti dell’attuale presidente della Repubblica. Forse perché è “di poche parole e molti gesti”. Del suo settennato il giornalista di via Solferino ha seguito tutto. Ha preso appunti e ha raccontato il presidente che ha “predicato un’idea di Stato-comunità” in un Paese “tormentato dalle divisioni”. Secondo Breda non è un’enfatizzazione quindi  “dire che Mattarella ha fatto un miracolo e salvato l’Italia, nominando Draghi”. A fronte dell’emergenza pandemica e di tutti i relativi riverberi “senza di lui – scrive Breda – c’era il rischio che i fondi Ue non arrivassero e sarebbe stata una catastrofe per un Paese nel quale la politica, che insegue i sondaggi e non si cura di governare, è ormai scivolata nell’antagonismo televisivo e internettista, senza molte idee ma con tanti insulti o like”. Quanta verità. Nella scelta di conferire l’incarico all’ex numero uno della Bce, Breda intravede un baluginare degasperiano. “Mattarella decide per Draghi – si legge nel testo – cioè riallaccia il filo perduto del discorso degasperiano, affidando il governo all’uomo che ha saputo intercettare, in anni di lavoro comune, i più solidi legami con i maggiori leader europei”.

Di Mattarella a Breda piace il carattere, che si traduce in un’indiscutibile tensione alla mediazione, maturata negli anni di militanza nelle file della Dc. L’attitudine a intraprendere le scelte per il bene del Paese, declinando nel migliore dei modi quel ruolo di “arbitro” che sembra cucito perfettamente sulle spalle leggermente curve di un presidente a cui tutti “anche i passanti e le scolaresche”, stanno chiedendo di restare. Con la delicatezza e il garbo che si accorda ai galantuomini, Breda racconta l’approccio di Mattarella al dramma familiare del fratello Piersanti, ucciso barbaramente dalla mano armata di Cosa Nostra. Un lutto non ancora metabolizzato probabilmente e del quale il Capo dello Stato a stento parla, per evitare un ennesimo viaggio nel tunnel del dolore.

In questi giorni si sente da più parti la volontà di individuare una personalità di alto profilo da proporre come successore di Sergio Mattarella. Ecco, la lettura del libro,  potrebbe essere un buon inizio per farsi un’idea, quantomeno dell’eredità che il prossimo inquilino del Colle dovrà raccogliere.

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