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Le schede bianche e libertà vo’ cercando

Anche se nell’ultima votazione sono diminuite, forse segnale di un malessere tra gli elettori, l’alto numero di schede bianche in questa elezione del Presidente della Repubblica non fa affatto onore. Il commento di Rocco D’Ambrosio

Non fa onore al nostro Paese la quasi totalità di schede bianche nelle votazioni in corso per il nuovo Presidente della Repubblica. Anche se nell’ultima votazione sono diminuite, forse segnale di un malessere tra gli elettori, l’alto numero di schede bianche non fa affatto onore. La data era nota… da sette anni. I partiti, in particolare i dirigenti nazionali, più che perdere tempo hanno mostrato incapacità di fondo e limiti strutturali della loro prassi politica, fino al blocco totale nel creare sintonie su candidati di qualità. Del resto l’autocandidatura di Berlusconi ha potuto polarizzare attenzione proprio perché, a destra, sinistra e centro, c’era poco o niente sul tavolo delle trattative.

Questa linea di basso profilo, che trova espressione nella scelta di votare scheda bianca, ha un suo punto di partenza inequivocabile: i soggetti in campo non dialogano. Il dialogo è impresa difficile in tutte le istituzioni, nessuna esclusa. E il dialogo che precede un’elezione è spesso impossibile. Interessi di parte, calcoli elettorali, protagonismi esasperati, odi e rancori storici, veti personali sono sempre esistiti, in tutte le elezioni di in ogni istituzione. La maturità degli elettori non sta stupidamente nel negare di averli o nel sentirsi superiori ad essi, ma nel riconoscerli e nel superarli con un lavoro di gruppo, che si chiama mediazione. E questa manca. Manca tanto. E se continua a mancare cosi spudoratamente aumenteranno antipolitica, sfiducia e assenteismo elettorale.

Un nome degno di rispetto, per provata maturità umana, etica e capacità politico-istituzionale, può difficilmente venir fuori in questa situazione. E qui l’immagine è quel dell’arenare nel guado. E chi attraversa fiumi sa che è proprio questo che va evitato: chi si ferma nel guado rischia di essere travolto dalla corrente, con esiti imprevedibili. Uno dei principali motivi per cui il nome non viene fuori è perché il (finto) dialogo dei partiti cerca un nome gradito alle parti, cioè a loro e – tanto per complicare il tutto – cerca un nome espressione di una parte, che raccolga gradimenti nella parte avversa. Qui si inizia ad arenare la carovana. Il Presidente Luigi Einaudi raccomandava: “In un paese libero, la classe dirigente deve abituarsi a discutere con serietà di studi, di osservazioni e di ragionamenti, stando lontana, come dalla peste, dai faciloni e dai demagoghi”.

Un Presidente della Repubblica deve “piacere” alla Costituzione (leggi: fedeltà provata alla lettera, ai principi e alla prassi della nostra Carta); deve “piacere” al Paese (leggi: alta sensibilità sociale, senza stucchevole retorica e tentazioni populiste); deve “piacere” all’Europa (nel modo in cui lo ha testimoniato David Sassoli); deve “piacere alla storia” (leggi: senza passati discutibili; non certamente perfetto, ma degno cittadino o cittadina). Il nostro Paese non manca di queste persone. Il dialogo finto, e segnato da interessi discutibili, a destra come a sinistra, difficilmente porterà a scegliere un Presidente con queste qualità. Chi sceglie, per scegliere bene e per il bene di altri, deve essere libero da tutto (interessi, potere e tornaconti elettorali) e da tutti, nessuno escluso. L’art. 67 della Costituzione – “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” – prima di avere un valore istituzionale e politico, ha un alto valore etico: rappresentare la Nazione significa operare, in tutto e per tutto, solo e solamente per il suo bene. Non ci devono essere altri “vincoli di mandato” che influenzino i Grandi Elettori.

Ancora Luigi Einaudi: “Quale è dunque la società, nella quale gli uomini si sentano veramente liberi e liberamente operino? La risposta è venuta da Socrate, è venuta da Cristo. Non dalla società la quale circonda l’uomo viene la libertà, ma dall’uomo stesso. (…). La libertà, che è esigenza dello spirito, che è ideale e dovere morale, non abbisogna di istituzioni giuridiche che la sanciscono e la proteggono, non ha d’uopo di vivere in questa o quella specie di società politica, autoritaria o parlamentare, tirannica o democratica; di una particolare economia liberistica o di mercato ovvero comunistica o programmata. La libertà esiste se esistono uomini liberi; muore se gli uomini hanno l’animo di servi”.

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