Una liquidazione di meno di 40.000 euro per 132 giorni di ingiusta detenzione. Poco? Forse sì. Ma il problema è che il conto non è stato ancora saldato e lo Stato non risponde. Il commento di Antonio Mastrapasqua
Quanto valgono 132 giorni di ingiusta detenzione? Secondo la giustizia italiana un po’ meno di 40.000 euro. Poco? Probabilmente sì. Ma soprattutto il conto non è stato saldato, anche se il debitore è lo Stato, nella fattispecie il ministero delle Finanze. Massimiliano Prosperi aspetta da quasi un anno la liquidazione del danno per ingiusta detenzione, definito con sentenza della Corte d’Appello nel marzo dello scorso anno. Ma il Mef non paga, e non risponde ai solleciti.
L’uomo era stato detenuto per circa sei mesi e condannato in primo grado nel 2016 per essere il presunto mandante di un omicidio avvenuto a Roma. L’anno dopo, in appello, la sentenza è stata ribaltata ed è stato riconosciuto innocente. La sentenza di assoluzione è diventata definitiva nel 2018. Successivamente ci sono voluti altri tre anni per ottenerne una che definisse il risarcimento per il danno subito. Poi nulla. Silenzio.
Prosperi era un imprenditore, oggi si arrangia facendo il muratore. Quei 40.000 euro, oltre che dovuti, sarebbero utilissimi per ricomporre i pezzi di una vita devastata da un errore giudiziario. Ma la burocrazia sta condannando per la seconda volta un uomo innocente. Non si tratta solo di cattiva burocrazia – inefficiente, complicata, autoreferenziale – che si oppone a una burocrazia buona, che aiuta la vita di cittadini, famiglie e imprese, fornendo un servizio essenziale di utilità pubblica. Siamo di fronte a un caso di burocrazia nemica.
Purtroppo, il caso del signor Prosperi non è unico. Sono circa 1.000 all’anno i casi di ingiusta detenzione riconosciuta dallo Stato. Il 20% di chi ricorre per ottenere un risarcimento. I soldi tardano spesso ad arrivare e quasi mai lo Stato si rivale sul magistrato che ha amministrato “male” la giustizia, anche se la legge Vassalli lo prevede esplicitamente.
La vicenda di Prosperi non è solo uno dei tanti casi di malagiustizia, si configura come un pessimo esempio di burocrazia nemica. Non solo inutile o dannosa per la vita sociale, ma addirittura ostile, irrispettosa delle stesse sentenze dei magistrati.
Una storia che rischia di accentuare uno sguardo negativo nei confronti di tante amministrazioni pubbliche, anche quando i casi di rapporto positivo ed efficiente non mancano. Di fronte al dramma di una ingiusta detenzione riconosciuta e non “pagata” potrebbe sembrare inopportuno rammentare i tanti episodi di burocrazia amica, che per fortuna ci sono e ci sono stati. Ne sono stato buon testimone negli anni che ho avuto l’onore di lavorare per il Paese come civil servant, al vertice dell’Inps.
La buona burocrazia, fatta di impiegati e dirigenti zelanti e dediti al dovere, diventa amica dei cittadini quando sa organizzarsi per servire al meglio il Paese, arginando le inefficienze, promuovendo le attività efficienti, premiando le buone pratiche e inventando – quando serve – percorsi e modalità nuove per adeguarsi alle esigenze della collettività.
Ho avuto la ventura di vedere un’amministrazione pubblica darsi l’obiettivo di pagare le prestazioni previdenziali e assistenziali in tempi sempre più stretti – parlo sempre dell’Inps che ho presieduto per tanti anni – di inventare nuove forme di collaborazione con altre amministrazioni, per assicurare il miglior servizio per i cittadini. Ricordo gli interventi nel processo di riconoscimento e controllo dell’invalidità civile, che nel dialogo con le Asl e le Regioni, riuscirono ad assicurare liquidazioni in tempi certi, se dovute. Ricordo l’efficientamento delle procedure sui certificati medici per malattia dei lavoratori, che consentirono di dare trasparenza a percorsi spesso offuscati da un’ingiusta sopportazione di casi di assenteismo. Ricordo la riduzione del contenzioso giudiziario per il quale l’Inps deteneva un primato non invidiabile. Ricordo gli scambi di informazioni con le altre amministrazioni pubbliche – come per esempio con l’Agenzia delle Entrate – per evitare l’erogazione di prestazioni a chi non ne aveva diritto.
I casi dell’Inps che ricordo in prima persona sono certo che si moltiplicano nei Comuni italiani più virtuosi, non a caso il Comune resta una delle istituzioni più apprezzate dai cittadini. Non solo. Basta ripensare a questi due anni di pandemia, che hanno visto l’impegno e l’abnegazione di medici e paramedici di tutto il Sistema sanitario nazionale, che hanno finito per ridimensionare gli inevitabili casi di malasanità, facendo apprezzare un grande pezzo di amministrazione pubblica efficiente ed efficace.
C’è una Pubblica amministrazione buona e amica, che dovrebbe dare sempre meno spazio alle sacche di ostilità e di inefficienza che riducono i cittadini al grado di sudditi.