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Tecno-autoritarismo. Se la deriva cinese ci riguarda

Sistemi di credito sociale, videosorveglianza, spionaggio e controllo. Il tecno-autoritarismo cinese è frutto di una deriva che ha radici lontane, ed è più vicina a noi di quanto sembri. Pubblichiamo un estratto del nuovo libro di Lorenzo Castellani, “Sotto scacco” (LiberiLibri)

In Cina, gli strumenti di sorveglianza capitalistica vengono sfruttati dallo Stato per somministrare il cosiddetto sistema di credito sociale, un metodo che determina chi ha il permesso di acquistare, vendere e viaggiare, in base al proprio comportamento sociale. Il progetto sembra voler formare non solo un nuovo tipo di Stato, ma un nuovo tipo di essere umano, che abbia completamente interiorizzato le richieste dello Stato e l’assolutezza dei suoi sistemi di sorveglianza e controllo. E proprio tale interiorizzazione è l’obiettivo: gli organi statali non dovranno mai intervenire per correggere il comportamento del cittadino, perché sarà il cittadino stesso ad auto-correggersi sulla base del sistema tecnologico.

Basti considerare l’uso pionieristico da parte di Pechino dell’intelligenza artificiale e di altre forme di raccolta dei dati digitali per la creazione di un apparato statale che non solo monitori costantemente tutti i cittadini, ma che possa inoltre costringerli a comportarsi come richiede lo Stato senza mai impiegare la polizia segreta né la minaccia dei gulag (anche se questi mezzi continuano a esistere per i più recalcitranti), e senza soffrire la diffusa povertà che il vecchio collettivismo inevitabilmente produceva. È lo scambio vincente tra totalitarismo e con- sumismo che Alexis de Tocqueville aveva già previsto come rischio fatale per la democrazia a metà del Dician- novesimo secolo. Un potere centralizzato, un dispotismo che imbonisce i cittadini con la promessa della sicurezza, lasciandoli al tempo stesso liberi di consumare e di farsi intrattenere da mezzi sempre più avanzati.

In effetti, la maggior parte dei cinesi paga per beni di consumo e servizi usando app sul proprio smartphone o direttamente con il proprio volto, grazie alla tecnologia di riconoscimento facciale. Da una parte tali tecnologie forniscono al consumatore comodità e sicurezza, rendendo la vita più semplice per le persone comuni; ma al tempo stesso raccolgono una quantità enorme di dati personali su ogni individuo cinese, tutti tracciati dal governo. Lo Stato fa anche un altro uso della tecnologia di riconoscimento facciale; le strade cinesi sono piene di telecamere che registrano i quotidiani movimenti della popolazione.

Il software di Pechino è talmente avanzato che può facilmente confrontare le scansioni facciali con il database centrale di sicurezza. Se un cittadino entra in un’area proibita – una chiesa, diciamo – o anche se una persona cammina in direzione opposta rispetto a un gruppo di persone più nutrito, il sistema lo registra automaticamente e avvisa la polizia. In teoria, la polizia non ha bisogno di andare a bussare alla porta del sospettato per punirlo per la sua disobbedienza. Il sistema di credito sociale cinese traccia automaticamente le parole e le azioni, sia online che offline, di ogni cittadino, distribuendo bonus o malus in base all’obbedienza di ciascuno.

Un cinese che compie un’azione positiva dal punto di vista sociale – come aiutare un vicino anziano con una faccenda do- mestica, o ascoltare un discorso del leader Xi Jinping – riceve punti che gli permettono di raggiungere un pun- teggio di credito sociale più alto. D’altra parte, chi compie gesti considerati negativi andrà incontro a un declassamento nel sistema di credito sociale. Poiché la vita digitale (e con essa le transazioni commerciali) viene automaticamente monitorata, i cinesi con un alto punteggio di credito sociale ottengono privilegi, mentre coloro con un punteggio più basso si ritroveranno ad affrontare difficoltà quotidiane maggiori. Questi ultimi, ad esempio, non avranno il permesso di acquistare biglietti per i treni ad alta velocità né di prenotare voli aerei.

Troveranno chiuse le porte di certi ristoranti o di certi servizi pubblici. I loro figli potrebbero non essere autorizzati ad andare all’università. I declassati rischiano di perdere il lavoro, e di incontrare difficoltà nel trovarne uno nuovo. E un cittadino che non rispetta il sistema del credito sociale si ritroverà inevitabilmente isolato, poiché l’algoritmo tende a punire chi ha relazioni con i trasgressori. Da ultimo, in una società in cui circolano pochissimi contanti, lo Stato ha il potere di mandare all’istante in bancarotta i dissidenti isolandoli dall’accesso alla rete. E in una società in cui tutti siamo digitalmente connessi, ogni volta che l’algoritmo identifica un cittadino non conforme, lo Stato può trasformarlo in un vero e proprio emarginato, perfino nei confronti della sua famiglia.

La copertina del libro

Da una parte, dunque, il mondo occidentale con la logica del capitalismo della sorveglianza, che trasforma gesti e pensieri in un flusso di dati misurabili e gestibile al fine di controllare e orientare i comportamenti degli individui, ridotti alla condizione di semplici componenti dello sciame virtuale. Un sistema fondato sullo scam- bio tra autonomia e comodità, nel quale è progressivamente scivolata la nostra società in modo irreversibile. Una mobilitazione totale e continua, al servizio di una intelligenza collettiva per adesso ancora benevola e piena di promesse di nuovi consumi, nuove uguaglianze e nuove sicurezze, da pagare con un sacrificio ancora mode- sto della libertà e dell’originalità. Indolenza, omogeneità standardizzata, emotività fanciullesca sono gli effetti collaterali della pozione che viene servita dalla combinazione tra paternalismo statale e governo algoritmico del capitalismo digitale.

Dall’altra parte c’è il tecno-autoritarismo cinese, nel quale le stesse tecnologie sono messe al servizio di un sistema esplicitamente totalitario, il cui aspetto più inquietante risiede nel fatto che differisce dal nostro soltanto per la sua intensità: una questione di misura, più che di sostanza. In Cina come in Occidente lo scopo è l’ottimizzazione, il governo razionale della collettività. Anche a Pechino l’adesione dei singoli al sistema di controllo totale è legata alla sicurezza e alla massimizzazione delle opportunità produttive e di consumo. La differenza, comunque non da poco, è che qui il potere è totalitario e risponde soltanto agli interessi del Partito anziché a quelli di una pletora di strutture pubbliche e private come in Occidente. E che, nei rari casi in cui il controllo dell’algoritmo non è sufficiente, la mano di piombo dello Stato garantisce la repressione dei comportamenti devianti.

Difficile non vedere che questi due fronti costituiscono due martelli che battono sul modello già malconcio della vecchia democrazia liberale. Un modello che oggi è inaccettabile per cultura, storia e strategia dai mandarini cinesi e che appare obsoleto e insufficiente agli occhi dei tecno-razionalisti della California e dei loro emulatori europei. E questo apre nuove problematiche per l’Occidente che non possono essere trascurate.

 

 

Estratto dall’ultimo libro di Lorenzo Castellani, “Sotto Scacco” (LiberiLibri)

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