Il governo ucraino tira il freno a mano sull’invasione russa: difendere l’interesse nazionale significa anche evitare di dipingere il proprio Paese come un teatro di guerra, oppure siamo davanti a una fase “Don’t Look Up” a Kiev?
“C’è solo una persona che sa cosa vuole realmente fare Vladimir Putin e quello è Vladimir Putin”, ha detto la vicesegretaria di Stato statunitense, Wendy Sherman. Washington non sa se il presidente russo abbia preso definitivamente una decisione finale sul se invadere, e come, ma l’alta funzionaria governativa americana ha sottolineato: “Certamente vediamo tutte le indicazioni che abbia intenzione di usare la forza militare in qualche momento, forse [tra] ora e la metà di febbraio”.
Fornire una data è indicativo, perché dà la misura di quanto densa sia la comunicazione che gli Stati Uniti stanno facendo sulla crisi, innescata dall’ammassamento di truppe ai confini ucraini ordinato da Mosca ormai una dozzina di settimane fa. Sherman parlava con a fianco l’ex presidente estone Kersti Kaljulaid al forum di strategia europea di Yalta.
Il segretario di Stato, Antony Blinken, nel frattempo ha detto che gli Stati Uniti hanno stabilito un “serio percorso diplomatico” per risolvere il confronto sull’Ucraina. Il messaggio è arrivato sotto forma di una lettera al governo russo che è stata consegnata a Mosca mercoledì 26 gennaio, brevi manu dall’ambasciatore statunitense. Serve come risposta formale a una serie di richieste russe all’Occidente, su cui alcuni parlamentari russi hanno già storto il naso – ma d’altronde è abbastanza improbabile che Washington accogliesse con risposta scritta la richiesta di non allargare i paesi membri della Nato, come era improbabile pensare a risposte aperte da chi chiede di fornire (più) armi ai separatisti che combatto Kiev a Donetsk e Lugansk.
Le parole di Sherman, come altre indiscrezioni che filtrano regolarmente sui giornali internazionali, costruiscono un racconto attorno alla crisi quasi catastrofico: Mosca invaderà l’Ucraina scombussolando un equilibrio che in Europa era già stato parzialmente scombussolato dall’annessione della Crimea nel 2014. Non è possibile sapere quanto questa posizione di Washington sia supportata dalle (tante) informazioni di intelligence raccolte, e dunque quanto la preoccupazione sia reale, oppure sia parte di uno schema comunicativo per alzare l’attenzione sul dossier – con(tro) i Paesi europei che invece tendono a smorzare – e contemporaneamente mettere in difficoltà il Cremlino, sbattuto davanti alle sue responsabilità.
Quello che è più chiaro, stando alle parole del governo ucraino, è che a Kiev la narrazione guerresca stia iniziando a creare un effetto boomerang e per questo l’esecutivo prova a minimizzare. Gli ucraini hanno costantemente alzato l’attenzione su quello che la Russia ha fatto e sta facendo, prima in Crimea e poi nel Donbas dal 2014 a oggi; hanno chiesto sostegno militare (che adesso stanno ricevendo con maggiore vigore), hanno chiesto reazione diplomatica ed economica-commerciale per mettere in difficoltà Mosca. Difficoltà da cui avrebbero ricevuto vantaggio, mentre la guerra nell’est ucraino continuava essere una ferita aperta.
Ora “questa paura ingiustificata ci danneggia” dice il viceministro degli Interni, perché “le truppe russe sono una minaccia diretta per noi, ma al momento sono insufficienti per un’offensiva su vasta scala”, aggiunge il ministro degli Esteri, e “ad oggi le forze armate russe non hanno creato gruppi d’attacco con cui lanciare un’offesiva”, spiega il ministro della Difesa, mentre il capo del consiglio di sicurezza nazionale di Kiev dice che il rafforzamento russo ai confini “non è stato così rapido come qualcuno racconta”. E dunque in definitiva “non c’è ragione di farsi prendere dal panico”, chiude il presidente Volodymyr Zelensky.
L’Ucraina sente il peso del racconto da “venti di guerra”. Per esempio: le notizie rimbalzate su tutti i media internazionali a proposito di uno sgombero del personale non fondamentale dalle ambasciate di Stati Uniti o Regno Unito si porta dietro la percezione generale di insicurezza. E questo significa che nessun investitore si sente adesso sicuro di chiudere accordi di qualche genere con l’Ucraina. Tant’è che Zelensky su Facebook ha scritto a proposito dell’evacuazione: “Questo non significa che l’escalation è inevitabile”.
L’inflazione sale, la borsa scende, anche se l’andamento della finanza ucraina è alterato dall’ingresso – in piena fase di tensione – del China’s Bohai Commodity Exchange di Hong Kong, che nei giorni scorsi ha formalizzato l’acquisto del 49,9% della società di gestione del mercato azionario dell’Ucraina, il JSC PFTS Stock Exchange (e viene da chiedersi perché i cinesi non abbiamo congelato l’investimento in mezzo alle tensioni).
Zelensky ha perso diversi punti sull’approval, la guerra con Mosca va avanti da otto anni e il presidente – un ex comico televisivo portatore di istanze populiste – aveva ricevuto consensi anche perché prometteva una forma di appeasement con Putin e con la Russia. Il presidente non ha avuto cedimenti nel ribadire una posizione di forte difesa dell’interesse nazionale, ma ha sempre dichiarato di essere pronto a incontrare Putin per affrontare tutte le questioni aperte (tante).
E intanto gli ucraini protestano davanti al parlamento, perché le tasse sono troppo alte. Kiev per altro ha ormai chiaro che il rafforzamento di unità Nato sul fronte orientale non si porterà dietro schieramenti sul proprio territorio, e con ogni probabilità non si porterebbe dietro una qualche reazione militare collegiale se Putin dovesse realmente lanciare un’invasione – d’altronde l’Ucraina non è parte dell’Alleanza, e difficilmente entrerà a farne parte.
Putin ha costruito la narrazione dell’invasione per arrivare al dialogo bilaterale con gli Stati Uniti ed escludere da questo l’Europa. E lì il tema non è l’Ucraina, quanto il ruolo della Russia nel mondo, a cominciare di quello che Mosca vuole giocare attorno ai propri confini. Riguardo a Kiev il piano resta lo stesso: la frantumazione della collettività ucraina, la destabilizzazione interna, “e oggi, purtroppo, lo sta facendo con successo”, ha detto in un’intervista il consigliere per la sicurezza nazionale: “Il nostro compito è quello di fare il nostro lavoro in un ambiente calmo ed equilibrato”.
Non è chiaro quanto questo sia fatalismo, calcolo dei rischi (diverso da quello percepito dall’esterno), tentativo di diplomazia o fase da “Don’t Look Up” per il governo di Kiev.