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Putin ha esagerato con l’Ucraina. Parola del generale Jean

Le rivendicazioni russe hanno compattato l’Occidente. I negoziati continuano. La “mossa del cavallo” da parte Usa? La richiesta di mediare a Pechino, a cui Mosca non può opporsi

Qualsiasi ipotesi sull’evoluzione della crisi in Ucraina presuppone la risposta a due interrogativi. Primo: quali siano gli obiettivi a breve e a lungo termine di Vladimir Putin. Secondo: perché la fase “calda” – per ora solo diplomatica – della crisi sia scoppiata circa un anno dopo lo schieramento nel marzo 2021 di circa 100.000 soldati russi ai confini dell’Ucraina. Solo dopo aver dato una risposta a tali interrogativi si potranno ipotizzare i futuri possibili scenari della crisi. In particolare, se sia possibile una sua de-escalation, abbozzando i lineamenti di un accordo almeno parziale e temporaneo, che consenta di evitare un conflitto. Nessuno lo vuole. Ma nessuno può neppure permettersi di “perdere la faccia”.

Al primo quesito – quello sugli obiettivi di Putin – si possono dare varie risposte. Innanzitutto, possono essere limitati all’Ucraina. In tal caso potrebbero essere il congelamento della situazione nelle province secessioniste filorusse del Donbas, evitando che il rafforzato esercito ucraino le rioccupi. Potrebbe anche mirare a ingrandirle, per includervi una maggiore percentuale della popolazione russa dell’Ucraina (ammonta al 17-18% del totale ed è residente soprattutto a Est del Dnieper, fiume che attraversa Kiev, e in talune zone costiere del Mar d’Azov e del Mar Nero). Putin potrebbe però proporsi anche di esercitare una pressione sul regime ucraino, per sostenerne le componenti filorusse (“oligarchi” e una cinquantina di parlamentari della Rada che ha 450 membri), per rallentarne l’evoluzione favorevole all’Unione europea e alla Nato, forse in attesa che si determinino le condizioni per una specie di “rivoluzione colorata” in senso filorusso, che annulli gli effetti dell’Euromaidan. Verrebbe neutralizzata, almeno per il momento, quella che considera una deriva occidentale del Paese.

 Non è neppure da escludere la seconda opzione. Quella che viene considerata espressione della cosiddetta Dottrina Putin, di modifica degli assetti geopolitici dell’intera Europa, definiti negli anni Novanta dall’Occidente a spese di una Russia indebolita dal collasso dell’impero sovietico in Europa orientale, seguito subito dopo da quello dell’Unione Sovietica. Tale tesi sembra avvalorata dalle proposte inviate da Mosca agli Stati Uniti e alla Nato dal Cremlino alla fine del 2021. Dall’“Europa unita e democratica” della “Carta di Parigi” e dell’Osce, secondo esse si dovrebbe tornare a una basata sulla divisione in “zone d’influenza”, che riconosca quelli che vengono chiamati “i diritti storici inalienabili” della Russia, in particolare di controllare una “zona cuscinetto” a protezione dei suoi confini occidentali. La Nato dovrebbe ritirarsi dall’Europa orientale e baltica.

Dovrebbe, secondo Putin, rispettare le promesse informalmente fatte a Mikhail Gorbaciov nel 1989-90. Mosca dovrebbe, in pratica, avere un diritto di veto sulle alleanze degli Stati della regione ponto-baltica, simile a quella che nella Guerra fredda aveva nei riguardi della Finlandia. Nel caso dell’Ucraina, il Paese dovrebbe riunirsi alla “madre” o, meglio, alla “figlia” Russia, con cui è unita nella sua interezza da un’“unità storica”.

Putin sottace beninteso il fatto che storicamente le regioni a Ovest del Dniester fecero parte dell’impero lituano-polacco e di quello asburgico, e che circa un milione di ucraini combatterono con i tedeschi contro l’Armata Rossa nella Seconda guerra mondiale. In sostanza la Dottrina Putin riporta sull’Europa orientale l’ombra degli imperi zarista prima, e sovietico poi. La sua attuazione potrebbe teoricamente comportare la possibilità di un conflitto armato in Ucraina, ipotesi che trova una certa credibilità in Occidente, ma non in Ucraina. Kiev esclude la possibilità di un’aggressione massiccia, pur considerando possibile una guerra ibrida, basata sulla disinformazione, sui cyber-attacchi, su attentati contro i politici più filo-occidentali e sulle pressioni economiche e finanziarie.

Le proposte russe erano chiaramente inaccettabili. Sono state perciò respinte sia dagli Stati Uniti sia dalla Nato. Forse non si sarebbe dovuto neppure dare loro risposta. Comunque, i negoziati continuano, così come la “diplomazia muscolare” specie degli Stati Uniti, giustificata forse soprattutto dagli sforzi di tenere unita l’Alleanza, dati i confliggenti interessi dei suoi membri nei confronti della Russia. Particolarmente ambigua è la posizione della Germania. Quella dell’Italia è stata resa un po’ confusa dall’incontro virtuale di industriali italiani con Putin e suoi ministri la scorsa settimana.

Il secondo interrogativo a cui dare preliminarmente risposta riguarda il motivo per cui il “caso Ucraina” sia scoppiato solo ora, quasi un anno dopo l’afflusso delle forze russe ai confini settentrionali e orientali dell’Ucraina. Certamente, per Putin uno dei motivi è stata l’accelerazione degli aiuti militari occidentali a Kiev. Essi erano già in corso precedentemente. Putin comunque potrebbe ritenere che il rafforzamento delle forze armate ucraine minacci lo status quo nel Donbas, oppure che la decisione di Kiev di autorizzare l’esercito ad armare la milizia destinata a una difesa territoriale prolungata renderebbe troppo costosa non tanto l’invasione, quanto l’occupazione dell’Ucraina. Tali evoluzioni erano prevedibili. Sicuramente, il Cremlino le aveva previste.

Il motivo dell’accelerazione della crisi causata dalle proposte di Putin deve essere diverso. Sicuramente ha giocato un ruolo la politica interna sia russa che occidentale. Solo esse possono dar ragione dei ritardi fra lo schieramento delle forze e lo scoppio del “caso”. Per Putin, lo sfruttamento del risentimento patriottico russo per le umiliazioni subite negli anni Novanta e per il ben promosso “tradimento dell’Occidente” è un ottimo argomento di propaganda a cui si unisce il sospetto che l’Occidente voglia impadronirsi delle ricchezze naturali della Russia.

I russi non si sono ancora accorti che il petrolio si compra, non si conquista. Putin sostiene che la Nato è avanzata verso il cuore della Russia, approfittandone della debolezza e trascurandone i legittimi interessi di sicurezza. È una “narrativa” analoga a quella diffusa in Germania dopo la Prima guerra mondiale. Anche allora – a parte il “colpo di pugnale nella schiena dell’esercito” – veniva affermato che la Germania aveva accettato l’armistizio perché convinta dai Quattordici punti di Woodrow Wilson. Era stata ingannata. La pace di Versailles aveva lasciato milioni di tedeschi in altri Stati. Putin, in sostanza, chiede una riparazione dei torti e umiliazioni subiti. Ha fretta di farlo. Deve approfittare del momento di debolezza degli Stati Uniti e dell’Occidente in generale.

Sa che il tempo gioca a suo sfavore. Demografia ed economia russe non le permetteranno di continuare a lungo di far finta di essere una grande potenza. La Cina preme sui suoi spazi imperiali. L’opinione pubblica russa condivide le idee del suo presidente. Ha accettato di veder ridotto il suo benessere per creare un “tesoro di guerra” (600 miliardi di dollari di riserve e crescita da 80 a 200 miliardi del Fondo sovrano di ricchezza) per poter resistere alle pressioni finanziarie statunitensi e usare il gas come arma nei confronti dell’Europa. Incomincia però a dare segni di stanchezza.

A parer mio ha esagerato. La rivendicazione per la Russia di un diritto simile a quello che aveva giustificato l’intervento sovietico in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968, ha compattato l’Occidente. I negoziati continuano. La “mossa del cavallo” da parte statunitense potrebbe essere una richiesta a Pechino di mediare. La Cina non vuole una guerra che potrebbe recare danni considerevoli alla sua economia e stabilità.

La Russia non può opporsi al suo principale alleato e finanziatore. Che cosa proporrà è imprevedibile. Si tratterebbe comunque di una mossa rischiosa, dato che la Cina sembra sostenere le pretese della Dottrina Putin almeno per l’Ucraina. Potrebbe sfruttare l’occasione per creare ulteriori problemi agli Stati Uniti. L’Unione europea è assente. Soffre per l’assenza di una Angela Merkel che possa mediare con Mosca, senza contrapporsi agli Stati Uniti. Non ha alternative a quella di aggrapparsi alla Nato.



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