Un interessante lavoro di Banca d’Italia, curato da Sauro Mocetti e Lucia Rizzica, fornisce una rassegna della letteratura più recente e nuove informazioni sulla diffusione della criminalità organizzata sul territorio nazionale ed i suoi effetti economici. Il racconto del senatore Riccardo Pedrizzi
Quest’ulteriore ed interessante lavoro di Banca d’Italia curato da Sauro Mocetti e Lucia Rizzica fornisce una rassegna della letteratura più recente e nuove informazioni sulla diffusione della criminalità organizzata sul territorio nazionale ed i suoi effetti economici. Dall’analisi emerge che, sebbene la criminalità organizzata continui a essere radicata soprattutto in alcune regioni del Mezzogiorno, il suo raggio d’azione si è esteso oltre tali confini e l’infiltrazione nell’economia legale è ormai diffusa in gran parte del Paese.
L’indice di presenza mafiosa mostra valori più elevati nel Mezzogiorno e, in particolare, in alcune aree quali la Calabria, la Sicilia, la Campania (soprattutto a Caserta e Napoli) e la Puglia (principalmente nel Foggiano). Tuttavia la presenza mafiosa risulta significativa anche in alcune aree del Centro Nord.
Le cause del fenomeno mafioso sono molteplici e in alcuni casi hanno radici antiche, ma innanzitutto una serie di variabili correlate: un elevato PIL pro capite e una maggiore dipendenza dell’economia locale dalla spesa pubblica. Ma il livello di infiltrazione mafiosa nell’economia legale può essere influenzato da fattori congiunturali soprattutto in quei settori in cui i livelli di attività economica si sono contratti di più a causa del Covid-19 (come i servizi di alloggio e ristorazione o l’industria tessile).
In particolare viene sfruttata la vulnerabilità economico-finanziaria delle imprese. In linea generale risulta che le province con un maggiore livello di penetrazione mafiosa hanno registrato negli ultimi 50 anni una crescita dell’occupazione e del valore aggiunto più bassa a causa del cattivo funzionamento del mercato e del condizionamento della politica locale.
I volumi di affari legati alle attività illegali si può stimare rappresentino oltre il 2 per cento del PIL italiano (cfr. Transcrime 2015, Istat 2021). A tali valori occorre poi aggiungere i proventi delle mafie ottenuti attraverso l’infiltrazione nell’economia legale ed, inoltre, il costo del freno allo sviluppo economico nel lungo periodo. I dati dell’Istat infatti includono solo il valore del commercio di sostanze stupefacenti, dell’attività di prostituzione e del contrabbando di sigarette e di alcol mentre escludono altre tipologie di attività illegali quali l’estorsione, la contraffazione, l’usura, la gestione illecita del ciclo dei rifiuti, le scommesse, ecc.
È inoltre ragionevole ipotizzare che parte dell’economia sommersa sia anch’essa riconducibile alla criminalità organizzata. L’infiltrazione mafiosa avverrebbe principalmente tramite il finanziamento e/o l’acquisizione della proprietà delle imprese. Il grado di diffusione delle attività e del potere criminale sul territorio non solo non è omogeneo, ma soprattutto non è casuale. Esso dipende in primo luogo da fattori strutturali che, nel medio e lungo periodo, hanno reso alcuni territori più favorevoli alla nascita e al radicamento delle organizzazioni mafiose.
La presenza della criminalità organizzata in un territorio ne condiziona in misura profonda il contesto socioeconomico e ne deprime il potenziale di crescita. Inoltre, andando oltre la sfera economica, la presenza di attività illegali inquina il capitale sociale e ambientale.
I risultati mostrano un’associazione negativa tra l’indice di penetrazione delle mafie a livello provinciale e la crescita economica negli ultimi decenni. In particolare, le province con un maggiore livello di penetrazione mafiosa sono state caratterizzate da un tasso di crescita dell’occupazione più basso di 9 punti percentuali rispetto a quello delle province con un più contenuto indice di presenza mafiosa.
In termini di valore aggiunto, si registra una crescita inferiore di 15 punti percentuali, corrispondenti a quasi un quinto della crescita media osservata nel periodo. Anche la crescita della produttività risulta inferiore nelle province maggiormente interessata dalla penetrazione mafiosa. Da un lato, la presenza mafiosa deprime l’accumulazione di capitale, sia pubblico sia privato. Ingenti risorse vengono destinate alla prevenzione e al contrasto dell’attività criminale, sottraendole a investimenti produttivi e infrastrutturali.
Inoltre, l’ingerenza delle organizzazioni criminali nello svolgimento dell’attività economica disincentiva l’investimento privato, riducendone i rendimenti attesi. Dall’altro lato, la presenza criminale incide sulla qualità della forza lavoro e sull’accumulazione di capitale umano. Un mercato del lavoro depresso dalla presenza delle mafie e la possibilità di perseguire carriere criminali può scoraggiare l’investimento in istruzione e incentivare i giovani più capaci ad emigrare.
Oltre a ridurre la quantità e qualità dei fattori produttivi, la presenza mafiosa incide negativamente sulla loro allocazione e quindi sulla produttività totale dei fattori. In primo luogo essa genera distorsioni nella spesa e nell’azione pubblica. I legami corruttivi tra associazioni criminali e pubblica amministrazione condizionano la spesa pubblica che viene riorientata verso finalità particolaristiche, a discapito dell’interesse generale. Questo, a sua volta, si associa a un più contenuto sviluppo economico e a una minore produttività.
Disastrosi terremoti (quello del Friuli-Venezia Giulia e quello dell’Irpinia) ad esempio hanno sortito effetti opposti nelle due aree: una maggiore crescita economica (rispetto a quella che si sarebbe verosimilmente realizzata in assenza del terremoto) in Friuli-Venezia Giulia e una minore crescita, al contrario, in Campania. Tale divario sarebbe attribuibile alla qualità inferiore delle istituzioni pubbliche in questa seconda area e, pertanto, al maggior grado di distrazione dei fondi pubblici (che furono di entità, invece, comparabile).
In secondo luogo, la presenza mafiosa crea distorsioni anche nel mercato privato.
L’infiltrazione mafiosa nell’economia legale, infatti, impone uno svantaggio competitivo per le imprese sane. L’impresa infiltrata da un lato può beneficiare di maggiore liquidità e risorse finanziarie (i proventi delle attività criminali), dall’altro può condizionare la concorrenza usando il suo potere coercitivo e corruttivo, sia nei confronti delle altre imprese sia nei confronti della pubblica amministrazione.
Presenza mafiosa sulla selezione e sui comportamenti della classe politica e, più in generale, sulle persone che guidano e lavorano nelle istituzioni pubbliche. incide sulla classe politica meno preparata e più connivente e facilita l’aumento della violenza criminale contro gli stessi politici prima delle elezioni, in particolare quando il risultato elettorale è più incerto.
Per concludere, per quanto riguarda alcune strategie di contrasto, il documento di Bankitalia suggerisce di agire su più piani con più efficaci strumenti di deterrenza ai quali si devono accompagnare misure di più ampio respiro, come gli investimenti nel capitale umano, un costante aggiornamento delle azioni di contrasto e un miglior coordinamento delle autorità investigative, mettendo a fattor comune più dati di quanto non si faccia attualmente. “Ne gioverebbero – conclude la ricerca – sia la comunità scientifica sia le autorità investigative per rendere più efficace le loro attività di contrasto”.