Intervista a David Unger, professore alla John Hopkins e a lungo firma del New York Times. Joe Biden in difficoltà dopo un anno, lo spettro del 6 gennaio è vivo e vegeto. I repubblicani vogliono liberarsi di Trump ma non sarà una passeggiata. E alle midterm..
È solo un anno e sembrano quattro. Dodici mesi dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio e l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, l’America è in una una fase di turbolenza politica e sociale dagli effetti imprevedibili. “Prepariamoci all’impossibile in vista del 2024”, avvisa David Unger, professore all’Università John Hopkins e a lungo firma del New York Times.
A un anno dal 6 gennaio l’America è ancora un Paese lacerato. E chi doveva rimarginare quella ferita, il presidente Joe Biden, ci è riuscito solo in parte.
In un anno non è cambiato molto. Il Paese è animato dalle stesse divisioni, solo con un po’ meno di passione. Trump non twitta tutti i giorni ma una buona parte della base repubblicana crede ancora che l’elezione di un anno fa sia stata rubata.
E i democratici?
I democratici invece esagerano la portata del 6 gennaio: un blitz che sarebbe andato a segno in qualunque Paese. Non sminuisco, l’assalto al Capitol resta ancora oggi il simbolo più chiaro dello stato in cui versa la democrazia americana. Ci sono decine di milioni di cittadini ed elettori convinti che il governo lavori contro di loro, che sia guidato da corrotti e fraudolenti.
Si avvicina l’anniversario dell’insediamento. Che bilancio fare del team Biden?
L’amministrazione non ha il pieno controllo. Difficile tracciare un bilancio entusiasta. Il calo dell’export, la disoccupazione, la crisi finanziaria e la pandemia che non si arresta, la debacle in Afghanistan non si possono ignorare.
Sul piano interno è andata meglio?
Non direi. Perfino i democratici, nessuno può dire a cuor leggero che in un anno l’amministrazione ha riparato il Paese. Sono stati commessi molti errori, alcuni necessari per risanare le ferite. Non ha funzionato. Anche con la maggioranza al Congresso il partito è riuscito a fare poco. Colpa dell’ostruzionismo repubblicano, ma anche di una diffusa diffidenza nel Paese. Milioni di persone pensano che le autostrade, i servizi pubblici non siano destinate a loro ma a migranti, stranieri, insomma “nemici”.
Qual è il vero banco di prova di questa Casa Bianca?
La pandemia. Milioni di persone si ammalano ogni settimana, anche se con lievi sintomi, centinaia di migliaia sono morte. L’11 settembre ha fatto 3000 vittime, per dare un’idea. Oggi non esiste un americano che non abbia in famiglia o tra gli amici qualcuno gravemente colpito dal virus.
Cosa si poteva fare meglio?
Se ci fosse stato un leader carismatico, affidabile, il Paese avrebbe meglio navigato la crisi. Ma Biden non è mai stato quel leader. Non ha avuto il coraggio di dire, come hanno fatto altri capi di governo, che le cose non miglioreranno, che la crisi è più grave del previsto.
Ha un giudizio molto severo del presidente…
No, Biden è un leader competente, riconosciuto. Dico solo che ha avviato di fatto una restaurazione dell’America pre-2016, ha riportato l’auto in garage.
Dovesse dare un voto al primo anno nello Studio Ovale?
Discreto. Finora non è stata una presidenza divisiva o macchiata da errori imperdonabili. Il suo discorso per l’anniversario del 6 gennaio è stato il migliore e il più onesto possibile. Ma c’è di più.
Cosa?
È un buon segnale che la commissione d’inchiesta sull’assalto al Capitol sia co-presieduta da Liz Cheney. C’è una parte dell’establishment repubblicano che cerca di correggere la rotta. Un po’ come fa Giorgetti con Salvini nella Lega.
In che direzione?
Nessuno lo sa ancora, la verità è che i repubblicani stanno facendo un calcolo opportunista. Aspettano di vedere come vanno a finire le mid-term, sperano che Trump non stia qui per sempre. Ora non possono parlargli contro. Chi lo fa viene preso di mira, come è successo a Ted Cruz.
Che piani ha Trump?
Trump non è un calcolatore. Si considera un genio politico, e in effetti ha ottimo istinto, ha feeling con la folla. I suoi fedelissimi fanno piani.
Quali?
Vogliono controllare il Partito repubblicano, riempire il congresso di lealisti. Poi ci sono gli ambigui, come il governatore della Florida Ron De Santis. Correrà come candidato trumpiano, ma prepara il terreno per diventare indipendente.
Scenario: con un Congresso diviso a metà tra repubblicani e democratici, una delle due Camere si rifiuta di certificare il voto presidenziale del 2024. Possibile?
Presto per dirlo. Ma prepariamoci all’impossibile, dopo quello che abbiamo visto un anno fa.