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Il voto per il Quirinale è segreto. Il no di Flick alle acrobazie interpretative

Secondo il presidente emerito della Corte Costituzionale Flick, “si sta perdendo di vista il fatto che il vero obiettivo è quello di eleggere il prossimo Presidente della Repubblica, non quello di trovare scorciatoie per rendere riconoscibile il voto”. È necessario seguire le modalità richiamate esplicitamente dalla Costituzione

Sono i giorni febbrili dello scervellamento. Si cerca di indagare ogni cavillo tecnico per percorrere le diverse strade che portano al Quirinale. In ossequio al dettato costituzionale, ma anche al limite dell’interpretazione. In particolare l’oggetto del contendere è legato alla segretezza del voto. C’è chi ha suggerito all’unico (per ora) candidato al Colle (Silvio Berlusconi) di “segnare le schede” in modo da “scovare” tutti i voti in suo favore. O, al contrario, verificare tra la folta pattugli del centrodestra eventuali franchi tiratori. 

“Molti giuristi e politici a vario titolo si stanno legittimamente arrovellando nel cercare di fornire un’interpretazione alle modalità del voto per il Presidente della Repubblica. È un esercizio al quale, però, preferisco non partecipare”. Sebbene “mi prema ribadire una cosa: il concetto di segretezza è intrinsecamente privo di una differente interpretazione”. Giovanni Maria Flick è un’eminenza del diritto. Presidente emerito della Corte Costituzionale, ex ministro, giurista di vaglia. Pur dicendo di non voler dare una risposta alle nostre domande, invero ce ne fornisce una inequivocabile: “La Costituzione dice a chiare lettere che le votazioni per il Capo dello Stato si svolgono con il Parlamento in seduta comune e attraverso scrutinio segreto. Qualsivoglia tentativo di eludere la segretezza o di modificare il concetto di seduta comune, dunque, a me sembra oltre i confini stabiliti dalla Carta”. Con buona pace di tutte le interpretazioni, anche le più estensive. 

Ma questa tendenza a sottilizzare è tipica del Bel Paese, riconosce Flick. “Oltre a essere un popolo di poeti, di santi e di eroi – ironizza – gli italiani sono un popolo di commissari tecnici della nazionale e di avvocati che si arrampicano sulla volontà di rompere il capello in quattro”. L’esercizio è di per sé sterile, e porta in dote un’insidia: “Guardare il dito e non la luna”. Tradotto: “Si sta perdendo di vista il fatto che il vero obiettivo è quello di eleggere il prossimo Presidente della Repubblica, non quello di trovare scorciatoie per rendere riconoscibile il voto o per eludere le modalità richiamate esplicitamente dalla Costituzione”. 

Sul punto Flick è ferreo: “Non c’è stato di emergenza o pandemia di sorta che possa giustificare la deroga dal dettato costituzionale, che costituisce l’architrave repubblicana”. E lascia perplessi da parte della politica “proporre acrobazie interpretative per portare beneficio a una parte piuttosto che all’altra”. In definitiva, comunque, spetterà a “chi presiede l’Assemblea applicare il dettato della Costituzione, nel modo più corretto possibile”. Sennò? Si ricorre al giudice dell’autodichia o alla Corte Costituzionale. 

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