Diplomatici e media cinesi in lingua inglese allineati a quelli russi sulla crisi in Est Europa. Obiettivo: indebolire gli Usa e l’Occidente. Invece, in patria, la musica è diversa: non se ne parla, seguendo la linea della non-interferenza per evitare che il dibattito si diffonda
Promuovere i punti discussione del Cremlino; evidenziare le divisioni in Europa e nella Nato; dare addosso agli Stati Uniti. Secondo Jessica Brandt, esperta della Brookings Institution, è seguendo queste tre direttive che i diplomatici “lupi guerrieri” e i media statali cinesi parlano su Twitter della situazione in Ucraina.
How are China’s wolf warrior diplomats and state media covering the Ukraine crisis on Twitter?
✅Boosting Kremlin talking points casting the UK’s recent warning as “disinformation”
✅Highlighting schisms in Europe, NATO
✅Dunking on USExamples, just from today 👇
— Jessica Brandt (@jessbrandt) January 24, 2022
Un esempio è offerto, scrive Brandt, dalle reazioni alla dichiarazione con cui il ministero degli Esteri britannico ha rivelato un “piano del Cremlino per insediare un leader filorusso in Ucraina”. Diplomatici e media cinesi hanno alimentato i tentativi russi di screditare l’avvertimento del Regno Unito. A questo, si aggiungono gli sforzi per sottolineare le divergenze nel fronte euroatlantico e per screditare gli Stati Uniti come leader dell’Occidente.
Niente di nuovo. “Abbiamo visto un approccio simile nella copertura di Pechino dell’altra crisi nella regione: il Kazakistan”, spiega l’esperta.
Here’s China’s state-funded media:
👉 boosting Putin’s talking points on “destructive external interference” in #Kazakhstan
👉 highlighting unity b/w Russia + China
👉 dunking on US media coverage; drawing equivalence b/w Kazakh protestors + J6 rioters pic.twitter.com/qvWmEsALxO— Jessica Brandt (@jessbrandt) January 19, 2022
Su Formiche.net osservavamo che la comunicazione russa su Kazakistan ricordava quella cinese a Hong Kong, a sua volta ispirata dal playbook strategico-narrativo della Russia.
Come la stessa Brandt ha scritto in un articolo sulla rivista The Washington Quarterly, Cina e Russia non si stanno coordinando. Tuttavia, condividono alcuni obiettivi a breve termine (danneggiare il prestigio globale degli Stati Uniti e indebolire l’Unione europea, la Nato e l’asse transatlantico) e quindi promuovere narrative simili”.
Si tratta di assonanze diventate ancora più evidenti dal 2020, con la pandemia Covid-19. Laura Rosenberger, allora direttore dell’Alliance for Securing Democracy e oggi al Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti come con il titolo di “Senior Director for China”, aveva evidenziato già a marzo di quell’anno come il governo cinese avesse mutuato dalla Russia diverse tattiche della disinformazione via internet con lo scopo di ripristinare la propria immagine dopo i ritardi che hanno causato l’esplosione della pandemia a Wuhan. Dalle rivelazioni di Formiche.net avevamo poi scoperto che queste tattiche hanno trovato applicazione in Italia.
Tuttavia, la propaganda cinese diretta verso l’estero appare assai diversa da quella destinata all’interno. “I media statali cinesi in lingua cinese, specialmente le pubblicazioni del partito, sembrano dedicare meno attenzione alla crisi ucraina rispetto ai media statali in lingua inglese”, ha osservato Taylor Fravel, direttore del programma Security studies del Massachussetts Institute of Technology, su Twitter.
Sulla stampa in cinese, infatti, quasi non si parla di Ucraina: “Sia perché si cerca di tenere l’argomento fuori dallinteressie dei cittadini (e usarlo invece per la narrazione internazionale), sia perché manca un reale interesse di certi fatti tra la popolazione (reazione anche conseguente)”, osservava Emanuele Rossi su Formiche.net. Che continuava così:
Tutto — che nello specifico serve anche per non disturbare con certi riflettori Mosca — è generalmente in linea con la non-interferenza con cui il Partito/Stato cinese tratta questioni riguardanti altri Paesi, evitando di portarle nel proprio dibattito pubblico (perché potrebbero influenzarlo). Il punto è che Ucraina e Taiwan mostrano quanto facilmente una debolezza statunitense (o anche la semplice percezione di debolezza) potrebbe disfare le reti di alleanze che sostengono l’ordine mondiale americano e inaugurare una nuova era di conflitto globale e instabilità. Non sono ovviamente situazione uguali, ma in termini di volontà degli Stati Uniti di essere coinvolti i segnali sono piuttosto simili: è molto probabile che Washington non morirà per Taiwan e non entrerà in guerra con la Russia per l’Ucraina — contro cui valuta sanzioni, pesanti, ma non reazione militare. E non lo faranno i suoi alleati. Davanti a questo, la deterrenza e gli show di potenza nell’Indo Pacifico e altrove (dall’Artico all’Est europeo fino al Mediterraneo) trovano un limite.