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Il 2% alla Difesa è un investimento, non una spesa. Il punto di Pagani (Pd)

Il governo tedesco aumenta al 2% il budget della Difesa. Nonostante le minori risorse a disposizione, l’Italia dovrebbe impegnarsi per onorare questa responsabilità nel più breve tempo possibile, anche per le positive ricadute tecnologiche e industriali di un simile investimento. L’analisi per Airpress di Alberto Pagani, capogruppo Pd in commissione Difesa della Camera

Sebbene la situazione economica italiana sia profondamente diversa da quella tedesca, il raggiungimento della soglia del 2% del Pil destinato alla Difesa dev’essere comunque perseguito quale obiettivo strategico del nostro Paese, sul modello di quanto deliberato dal governo tedesco. Lo spiega ad Airpress Alberto Pagani, capogruppo del Partito democratico in commissione Difesa della Camera e membro dell’Assemblea parlamentare Nato.

La Germania ha annunciato di voler innalzare le proprie spese annue per la Difesa oltre la soglia del 2% del Pil. Una decisione storica visto l’approccio tedesco al tema. Che lettura ne dà?

Qualora venisse effettivamente attuata sarebbe una decisione molto importante, dal momento che, attualmente, la Germania spende cifre estremamente contenute per la Difesa, per ragioni principalmente storiche. Tra l’altro, il 2% del Pil tedesco rappresenta davvero una cifra notevole, capace di fare la differenza.

In ambito Nato, quello del 2% è un tema centrale, richiesto nel lontano 2014. Di fronte alla guerra provocata dalla Russia, come cambiano le priorità anche di budget della Nato per tutti i Paesi ancora lontani da una spesa che si avvicina al 2% del Pil?

Noi vediamo l’obiettivo del 2% ancora lontano, all’orizzonte, ma nondimeno ci siamo impegnati in questo senso, insieme con gli altri Paesi dell’Alleanza Atlantica. Com’è noto, il debito pubblico, la crisi economica e la pandemia da Covid-19 hanno creato diverse difficoltà al nostro sistema economico e sociale. Tuttavia, ritengo che anche l’Italia dovrebbe fare come i tedeschi e impegnarsi per onorare questa nostra responsabilità di difesa nel più breve tempo possibile.

Il nuovo governo tedesco ha avuto il coraggio di puntare sul 2% superando anche le resistenze interne allo stesso esecutivo. La scelta di Berlino potrebbe funzionare da traino per l’Italia inchiodata all’1,3% circa?

Su questo è difficile fare una previsione corretta, principalmente perché per noi italiani la situazione è profondamente diversa dalla Germania. Il governo di Berlino ha dovuto superare resistenze di carattere prevalentemente politico e ideologico. Noi non abbiamo solo questo tipo di freni che ci trattengono, ma abbiamo delle profonde carenze di risorse che rendono difficile fare questo tipo di passi. In breve, non abbiamo i soldi.

Che strumenti dovrebbe adottare l’Italia, se scegliesse la linea tedesca, per implementare queste spese in più? Dovrebbero essere tenute fuori dal patto di stabilità?

Mantenere queste spese fuori dal Patto di stabilità aiuterebbe senz’altro: si tratta di investimenti che servono per garantire la nostra sicurezza, ma finanziano anche la ricerca scientifica e tecnologica, che dall’industria militare ricade poi sull’industria civile. Gli Stati Uniti, che spendono molto più di noi nella difesa, hanno beneficiato più volte delle sue ricadute tecnologiche: da Internet all’utilizzo civile dei satelliti, dal Gps alle telecomunicazioni, alla miniaturizzazione dei computer. Sono tutti derivati dalla ricerca militare che hanno reso grande l’industria e l’economia americana. Bisogna arrivare a comprendere, anche in Italia, che si tratta di investimenti, più che di spese.


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