Intervista all’economista della Harvard Kennedy School ed ex membro del Consiglio di Sorveglianza Bce. Una sola banca non può accollarsi Mps, serve un’operazione di sistema. Il ricambio al vertice? Se arriveranno nuovi soci allora potrebbero valutare la discontinuità
Non è più tempo di sfogliare la margherita, sul Monte dei Paschi è l’ora di lavorare seriamente a una soluzione che possa portare presto lo Stato fuori dalla banca più antica del mondo. Terminata la giostra parlamentare per il Mattarella-bis, al Tesoro, azionista di controllo (64%), si è riaperto il cantiere senese, a quasi tre mesi dal fallimento delle trattative con Unicredit.
Il prossimo 7 febbraio, il ceo Guido Bastianini presenterà al mercato i conti del 2021 e c’è chi giura che si tratterà di una sorta di redde rationem, dopo le indiscrezioni circolate in questi giorni che vorrebbero il Mef propenso a un ricambio al vertice, a valle di un passo indietro dello stesso numero uno di Mps. La sostanza però, non cambia. Ribaltoni o meno lo Stato da Siena deve uscire, spiega a Formiche.net Ignazio Angeloni, economista alla Harvard Kennedy School, ex membro del Consiglio di Sorveglianza della Bce e da sempre in ottimi rapporti con Mario Draghi.
Dopo il fallimento delle trattative con Unicredit, lo scorso novembre, lo Stato azionista è tornato al punto di partenza. Nell’attesa di una possibile-probabile proroga da parte dell’Europa, crede ancora nella bontà di un’operazione di sistema con più soggetti bancari coinvolti?
Non mi pare che la situazione sia cambiata molto da allora. Occorre lavorare per una soluzione concreta, sostenibile nel tempo, nella quale lo stato cessi quanto prima di essere azionista rilevante. Continuo a ritenere difficile che una singola banca italiana possa farsi carico da sola del problema Mps con buone probabilità di successo, a costo accettabile per lo Stato e senza mettere in pericolo se stessa, il che significa passare anche il vaglio della vigilanza Bce. C’è poi sempre la possibilità di una banca estera, ma al momento non mi sembrerebbe la soluzione ideale.
Allora c’è poca da fare, serve il coinvolgimento di più soggetti…
Rimane l’opzione di una joint venture, che però dovrebbe essere accompagnata da una ristrutturazione con concrete prospettive industriali. Il soggetto pubblico potrebbe cercare di promuovere una soluzione di questo genere, sopportandone una parte dei costi. Ma né esso, né il Fondo che assicura i depositi bancari in Italia, dovrebbero farsi carico di attuare il progetto industriale.
Angeloni, in questi giorni si è parlato molto di una possibile discontinuità al vertice di Mps. Poche settimane dopo il piano industriale e con una possibile privatizzazione in vista, è preferibile la continuità o il contrario? E non crede che un’operazione di questo calibro debba e possa basarsi sulla fiducia azionista-manager?
Su questo non ho un’opinione specifica. Non penso che le difficoltà di Mps dipendano dalla guida operativa e del resto la banca ha già avuto parecchi cambiamenti al vertice negli ultimi anni. Naturalmente, se si delineasse un’operazione privata, per esempio come quella a cui ho appena accennato, i nuovi azionisti deciderebbero anche la posizione di vertice. Come avviene sempre in questi casi.
Allarghiamo il discorso. Due anni di pandemia hanno cambiato parte della nostra economia e forse anche di certa finanza. Come ne esce il sistema bancario italiano che, almeno per ora, sembra aver retto all’urto?
Abbastanza bene, direi. Le banche maggiori, Intesa certamente, ma non solo, hanno fatto un percorso di risanamento e rafforzamento prevalentemente per linee interne che ha dato frutti e che continua. Si intravede anche una tendenza, opportuna, a sviluppare linee di attività complementari, come la gestione del risparmio e i prodotti assicurativi. La ripresa economica, poi, aiuta il rafforzamento del sistema bancario. L’aumento dei tassi di interesse che si è avviato aiuterà ulteriormente, consentendo di riaprire i margini di intermediazione.
Eppure le sfide non mancano…
La sfida che il sistema ha oggi di fronte riguarda la rimozione dei sostegni e delle garanzie legate all’emergenza Covid. Non credo che sia nell’interesse delle stesse banche, quelle più forti soprattutto, ritardare troppo l’uscita dai provvedimenti di salvaguardia. È meglio invece che essa inizi quanto prima, pur essendo attenta e graduale.
Capitolo politica monetaria. La Federal Reserve ha cambiato passo negli Usa e non certo oggi. Al contrario la Bce ostenta ancora calma sui tassi, nonostante un’inflazione piuttosto marcata che persino Francoforte ora non può ignorare. Come spiega questa tranquillità di fondo?
Penso che la Bce si ricrederà e aggiusterà il tiro. In parte questo si è già visto nella conferenza stampa di ieri della presidente Lagarde. Va superata la situazione, imposta dall’emergenza ma oggi non più necessaria né desiderabile, di tassi di interesse a breve termine sotto lo zero. A mio parere sarebbe più urgente che la Bce rialzasse i tassi, piuttosto che concludere prima il programma di acquisto di titoli.
E questa inversione di azioni, prima i tassi poi la fine degli stimoli, che benefici apporterebbe?
Tali acquisti possono anzi servire, temporaneamente, per attutire eventuali contraccolpi che l’aumento dei tassi potrebbe comportare. A mio parere la banca centrale dovrebbe riesaminare alla luce degli ultimi sviluppi la sua impostazione strategica complessiva, annunciata l’estate scorsa in condizioni assai diverse da quelle di oggi.