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Bene Calenda, ma qui c’è da rifondare la Repubblica

Chi si farà carico di governare un Paese che pesa il 12,6 % del PIL Ue ma che dovrebbe ricevere il 39,2% dei fondi messi in moto dal Recovery Plan? E con quali strategie si intende agire per la prossima legislatura? L’editoriale di Roberto Arditti

Partiamo da Carlo Calenda, protagonista in questo fine settimana di un evento da salutare con favore, cioè la nascita di un partito vero e proprio (almeno nelle intenzioni), dotato di organi nazionali e territoriali soggetti ad elezione democratica.

Ebbene questo nuovo soggetto politico si colloca nell’area liberal-democratica, esattamente quella devastata dall’avvento della seconda Repubblica e umiliata nell’ultimo decennio all’insegna del nefasto “uno vale uno”.
Ma perché dobbiamo salutare con favore l’iniziativa di Calenda, dov’è il senso di questa operazione in un sistema politico nazionale già densamente popolato di leader e movimenti di varia forma ed orientamento?

La risposta è tutta nei numeri oggi proposti da Gianni Trovati sul Sole 24 Ore, numeri che vanno analizzati con impegno e che debbono essere sin d’ora in cima ai pensieri dei futuri contendenti alle elezioni del 2023. Numeri che sono impietosa bocciatura degli ultimi 30 anni di vita istituzionale ed economica italiana, numeri che, proprio mentre ricorrono i trent’anni di Mani Pulite, certificano il fallimento “di sistema” dei governanti che da allora si sono alternati in un bipolarismo fondato sull’ipocrisia inconcludente (prima pro o contro Berlusconi, poi la rivoluzione dei “like” di Casaleggio e Grillo).

Numeri dunque, eccoli qui. Il Pil italiano cresce del 6,5 % nel 2021 (Istat), collocandosi al vertice delle performance Ue (solo la Francia con +7% ci batte, mentre la Spagna fa +5% e la Germania +2,8%). Se poi guardiamo all’anno in corso ecco che troviamo stime UE ancora positive per l’Italia, accreditata di un +4,1% contro il +3,6% di Francia e Germania.

Insomma una congiuntura favorevole che si abbevera del pur litigioso clima di unità nazionale intorno alle figure di Draghi e Mattarella, ma che dovrà presto fare i conti con la sostanziale apertura della campagna elettorale in vista del prossimo anno.

I numeri però non sono solo questi, purtroppo per noi. Ce ne sono altri che sono ben diversi e che ci dicono in modo brutale come siamo andati davvero tra la fine del secolo scorso e quest’inizio di millennio.

Cominciamo con il periodo più recente, quello che ha nell’ultimo anno prima della pandemia (2019) il su punto di riferimento. Qui l’Italia è penultima nella classifica dell’area euro, con una crescita del Pil dell’1%, risultato migliore di quello spagnolo e peggiore di quello di tutti gli altri, in particolare peggiore dell’1,6 della Germania, del 2,1 della Francia ma anche del 3,6 della Grecia, tanto per capirci.

Se poi facciamo un primo balzo indietro nel tempo arrivando al 2007, ultimo anno prima della grande crisi finanziaria, vediamo che l’Italia è sempre penultima, con addirittura un -2,8% del Pil (sì, avete letto bene, un calo del 2,8 per cento) mentre la Spagna ha fatto +6,4, la Francia +14,5, la Germania +17,5 e, tanto per fare un esempio, la Slovacchia +38,9.

Facendo invece un salto nel tempo ancora più ampio ecco che le cose mostrano il loro volto più drammatico, quello che suona come una bocciatura senza appello per tutti i governanti (non parlo solo degli eletti, l’accezione riguarda l’intero sistema di potere nazionale comprendente sindacati, magistratura, apparati dello Stato, rappresentanze varie, ordini professionali e così via, giornalisti compresi).

Se ci riferiamo alla crescita del Pil dal 1993 (anno di entrata in vigore del Trattato di Maastricht e di deflagrazione della nostra Prima Repubblica) a oggi ecco che l’Italia scende all’ultimo posto, con dati che sono semplicemente agghiaccianti. Noi infatti cresciamo (da allora ad oggi) del 21,9%, mentre la Germania registra un +47,3, la Francia +57,7, il Belgio fa +69,3 e la Spagna +73,4, per non parlare del +191,9 dell’Estonia o del +441,3 dell’Irlanda.

Siccome questi sono i numeri (a cui potremmo aggiungere il minimo storico di natalità dal dopoguerra, sotto la soglia, mai toccata prima, delle 400.000 nuove nascite all’anno) ecco che il quadro appare in tutta la sua drammatica potenza. Chi si farà carico dunque di governare un Paese che pesa il 12,6 % del PIL UE ma che dovrebbe ricevere il 39,2% dei fondi messi in moto dal Recovery Plan? E con quali strategie si intende agire per la prossima legislatura?

Questa è la domanda per i prossimi mesi, che esplode come una bomba mentre i partiti litigano sui mille o duemila euro di contanti. È Draghi il punto di caduta per un governo di legislatura? Qualcuno cominci a dirlo senza infingimenti. C’è, a destra in particolare, un piano alternativo credibile? Lo si mostri agli italiani quanto prima.

Quello che è certo è che negli ultimi trent’anni abbiamo fatto abbastanza schifo. E ci andiamo leggeri perché è domenica.



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