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Tra conservatorismo e popolarismo, la presenza politica dei cattolici

Di Giancarlo Chiapello

Se il conservatorismo lo si vuole vedere come una rielaborazione identitaria esso non è sovrapponibile al popolarismo, il miglior pensiero del cattolicesimo politico italiano, entrambi rappresentano tradizioni politiche diverse, pur potenzialmente, democraticamente, dialoganti. L’intervento di Giancarlo Chiapello, segreteria nazionale Popolari-Italia Popolare

Da settimane ormai è in fase di dispiegamento un’ampia strategia volta ad aprire un dibattito e dare una risposta da destra sul conservatorismo quale impronta per una sorta di rinnovamento senza fare i conti con le radici più profonde. Si tratta di riflessioni certamente significative e che indicano che, comunque, il sistema politico italiano ha iniziato a modificarsi. Argomento che viene inserito quasi sempre è quello della presenza politica dei cattolici.

A tal riguardo interessante è l’articolo di Benedetto Ippolito apparso su Formiche.net dal titolo “Il centrodestra e la sfida nazional democratica dei cattolici”: il ragionamento si dipana a partire dal ritrovare le ragioni ideali di un’alleanza in un tempo in cui queste, formatesi nella fallimentare stagione post “mani pulite”, si sono ormai deteriorate, anche per il fatto che le forze di governo del centrodestra hanno negli ultimi 15 anni governato di più con quelle di sinistra che tra loro (e il ragionamento vale perciò anche per i progressisti), facendo emergere la netta necessità di scongelare la democrazia con un sistema proporzionale che, nel rispetto del parlamentarismo – messo in difficoltà nella sua rappresentanza dalla riduzione dei membri delle Camere – ridia dinamicità e ordinarietà ad un sistema bisognoso di identità politiche chiare sul modello tedesco ed europeo che rimettono le alleanze nella loro più corretta dimensione programmatica, non ideologica.

Non intendo toccare il tema del percorso di FdI verso il conservatorismo, parola stessa che appartiene più al sistema anglosassone come identità mentre in Italia è tradizionalmente più sentito e sviluppato come atteggiamento, a volte metodo, al pari del moderatismo e del riformismo, riconoscendo comunque lo sforzo ideale in atto, più sofisticato del semplice fare polpettoni para culturali con l’idea che culture diverse, come quelle, ad esempio liberale, socialista, popolare, possano formare un mix identitari (sarebbe un po’ schizzofrenico, come visto in certi tentativi degli ultimi decenni che stancamente su altre sponde si tenta di ripetere stancamente).

Mi preme riprendere la questione dei cattolici partendo da una premessa: se il conservatorismo lo si vuole vedere come una rielaborazione identitaria esso non è sovrapponibile al popolarismo, il miglior pensiero del cattolicesimo politico italiano ed entrambi rappresentano tradizioni politiche diverse, pur potenzialmente, democraticamente, dialoganti (ricordando il punto fermo posto da don Sturzo “per noi centrismo è lo stesso che popolarismo”): serve naturalmente non inchiodarsi alla mera geografia tattica politicista perché le parole destra, centro, sinistra, hanno senso se c’è pensiero altrimenti non dicono nulla oltre ad un po’ di nostalgia.

Va anche detto che il prof. Ippolito liquida forse un po’ troppo velocemente e in tono negativo l’esperienza della DC che ha visto uomini e donne sviluppare proprio il pensiero popolare, radicato nella visione sociale cristiana, perché non è che “raccoglieva al suo intero un po’ di tutto”, era un grande partito di popolo, interclassista, capace di rappresentanza nazionale, con una base ideale comune, capace di dialogo libero, allergico al leaderismo esasperato e/o messianico, quindi mai al servizio di un singolo e sintesi nel confronto tra ipotesi di diverse declinazioni, tutt’altro che timido o progressista nel senso politico: la Democrazia Cristiana era, come disse Alcide De Gasperi, “al lavoro in un’unità di vedute, protesa verso quelle mete che, socialmente, si definiscono di sinistra, ma nell’ansia tormentata di salvare al Paese la sua libertà, libertà civile, legale, morale” (socialmente e cosiddette nella sua epoca, ciò è da sottolineare, non intese mai affermare una direzione imprescindibile di un’alleanza con “la” sinistra).

Insomma è la storia straordinaria della stessa presenza politica dei cattolici italiani che forma la stessa identità popolare da declinare nel presente per il futuro. Anche il ragionamento sulla questione della nazione appare elemento che distingue il popolarismo che attinge alla dottrina sociale della Chiesa: più che di democrazia nazionale facendo assumere all’idea di nazione un valore per sé stante, i cattolici, probabilmente, se fossero al tavolo di un dibattito parlerebbero di “democrazia integrale”, quindi di Stato che riconosce ciò che gli preesiste, la persona, la famiglia, i comuni, di identità culturale, di Europa, di internazionalismo e universalismo citando un pensiero di Aldo Moro, “non si tratta di distruggere la nazione, né la regione, né il comune, né la famiglia, né le mille altre società che l’uomo libero crea […]. Non è sorpassando queste esperienze, ma utilizzandole, e cioè rendendole, in modo conforme alla loro verità, intime ed umane, che si realizza una universale comunione di vita”.

Dunque è condivisibile che la destra possa consolidarsi, anche attraverso il dibattito sul conservatorismo così come la sinistra (e potranno esserci cattolici in questi due campi? Possibile ma col problema di come esprimersi in contesti ad oggi da una parte cristianista dall’altra radical-progressista) ma, allora, esistendo un pensiero, una tradizione, una visione rappresentata dal popolarismo di ispirazione cristiana può valere anche per il centro per superare una semplificazione che ha dato cattiva prova di sé e per rispondere al richiamo necessario delle rispettive famiglie politiche europee.

Il cantiere dei popolari, che intercetta quell’Italia Popolare che esiste sui territori, li anima, è dentro ai problemi, cammina col popolo, ed ha un originale sguardo europeo, che richiama non all’unità, sarebbe un falso problema, (essa appartiene come compito solo alla Chiesa), bensì ad una autentica amicizia cristiana, ha pieno diritto di cittadinanza riscoprendo quel senso profondo della politica così ben descritto da Santa Caterina da Siena: “La città propria è la città dell’anima vostra, la quale si possiede con santo timore fondato nella carità fraterna, pace e unità con Dio e col prossimo suo… Signoria prestata sono le signorie delle città di o altre signorie temporali, le quali sono prestate a noi e altri uomini del mondo; le quali sono prestate a tempo… Colui che signoreggia sé, la possederà con timore santo, con amore ordinato e non disordinato; come cosa prestata, e non come cosa sua”.

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