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Il centrodestra e la sfida nazional democratica dei cattolici

Il ruolo del cattolicesimo politico deve tornare a essere quello che è sempre stato, vale a dire un’idea centrale, estesa, dialogante, razionale di democrazia, solidamente sorretta però da due premesse imprescindibili: una base conservatrice da cui partire e un preambolo antiprogressista. L’analisi di Benedetto Ippolito

Mentre ormai imperversa la crisi ucraina e lo scacchiere internazionale muta radicalmente, il ricordo della settimana elettorale per il Quirinale appare come una vicenda remota del passato. Certamente restano le tracce, perfino in alcuni casi le cicatrici, ma il futuro ha una sua predominanza logica sulle ferite del presente.

Anche per il centrodestra, uscito a pezzi da quella vicenda non immune da squallore, dovrà progressivamente riprendere le fila di un ragionamento comune. Nell’immediato ciò è imposto dai referendum e dalle amministrative e, più in genere, dal vero obiettivo fondamentale per tutti: le elezioni politiche del 2023.

Vincere può farlo anche solo un partito, se cresce, ma governare necessita per forza di coalizioni. Il primo dato che emerge è la decisa bipolarità dei sondaggi. I due movimenti che guidano ad oggi la classifica dei suffragi sono il Partito Democratico e Fratelli d’Italia (20% per ciascuno). Nessuna novità a sinistra, dato che i democratici hanno sempre avuto l’egemonia progressista, sebbene ovviamente resti sul tappeto per loro la questione dell’alleanza con i 5 Stelle. A destra invece è la prima volta che si prospetta una guida della forza politica che per tradizione occupa e caratterizza il conservatorismo.

Perciò è molto importante che la coalizione che ha assunto con Silvio Berlusconi la formula nominale “centrodestra” trovi adesso dei nuovi equilibri, percorribili cioè in questo quadro mutato di consensi che si va delineando.

Nel complesso, il rafforzamento della destra e della sinistra sicuramente pone delle certezze, il suddetto bipolarismo, e delle incertezze, poco spazio al centro e un crepuscolo per i grillini.

In un teatro così poco consueto (l’Italia è infatti un Paese a vocazione moderata) è fondamentale che l’alleanza Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e apparentati trovi motivi di unità e ragioni valide per stare insieme.

Un primo punto è costituito, a mio modo di vedere, dalla centralità della nazione. In un contesto geopolitico di post globalizzazione e di neo-europeismo Giorgia Meloni può garantire un baricentro rilevante e positivo di difesa degli interessi italiani. Ciò che vi è di valido in questo è che la destra assicura un asse, un punto di orientamento chiaro, il quale però ha bisogno, proprio per la sua determinazione identitaria e conservatrice molto netta, di collegarsi ad altre forze e ad altre istanze culturali e strategiche.

Avere, insomma, un ruolo guida di coalizione a destra dà garanzie di antitrasformismo al patto, tutelando un certo grado di stabilità nell’alleanza. Per capire possiamo utilizzare una coppia categoriale tanto importante nella cultura cattolica, quello tra la “proporzione” e la “partecipazione”. Fratelli d’Italia salvaguarda l’assunto che la strategia programmatica e l’azione politica siano proporzionate agli interessi nazionali, mentre Forza Italia, Lega ed altri rispondono alla necessità di non esclusione, di non isolamento e di partecipazione del Paese all’orizzonte più esteso della politica internazionale, di natura liberale e sociale, in grado di dare cioè dinamismo all’azione legislativa ed esecutiva.

In Italia ci siamo abituati a partire da una idea di moderatismo, timidamente progressista, garantita dal centro, che aveva in passato il suo caposaldo nel ruolo svolto dalla Dc, un partito imponente che raccoglieva al suo interno un po’ tutto. In una fase non più novecentesca non è detto che il baricentro di destra renda impossibile una coniugazione di tipo cattolico-democratico alla maggioranza. Anzi, ad avviso di chi scrive, è vero piuttosto il contrario.

La visione cattolica della politica presuppone la difesa e promozione della nazione come base per l’espansione democratica, liberale e sociale della persona e della famiglia che ne rappresenta il vertice. Perciò così come non si può essere generosi se non si è saldi in se stessi, allo stesso modo non si può essere moderati se non vi è un’identità forte, proporzionata e conservatrice, che viene allargata e resa partecipativa con altri interessi coessenziali compatibili con le premesse. Cosa significa, d’altronde, moderatismo se non questo?

Il futuro del centrodestra, coniabile adesso alla luce di un modello di “democrazia nazionale”, non sarebbe unicamente una strategia necessaria per questa coalizione o, magari, una tattica elettorale per non perdere le prossime elezioni, ma un paradigma filosofico e culturale idoneo alla normalizzazione del quadro politico complessivo e utile per la dinamica gestionale della legislatura che verrà.

Io sono sensibile ai richiami di Paolo Cirino Pomicino per un ritorno alle grandi famiglie ideali, e proprio per questo penso che il ruolo del cattolicesimo politico debba tornare ad essere quello che è sempre stato, vale a dire un’idea centrale, estesa, dialogante, razionale di democrazia, solidamente sorretta però da due premesse imprescindibili: una base conservatrice da cui partire e un preambolo antiprogressista.

La speranza non è soltanto che una coalizione “nazional democratica” si consolidi, ma che tale strutturazione aiuti il centrosinistra a determinarsi in modo analogo, nella sua area di azione, permettendo a cattolici (come noi) e a socialisti di avere una casa in cui abitare e in cui far ripartire e crescere le iniziative culturali.

L’attuale scenario internazionale, d’altronde, non lascia spazio a populismi di facciata, a comiche improvvisazioni e a mestieranti che vanno e vengono, pellegrinando da uno scranno all’altro cercando nomine improbabili senza radici e idealità.

Tornare alla politica dei valori filosofici è possibile perché è necessario per i politici e per i cittadini italiani. Nel rinnovamento del centrodestra è speranza, dunque, che finalmente anche la cultura cattolica possa trovare una sua funzione e un suo ruolo protagonista, promuovendo ed interpretando la “proporzione” nazionale della destra alla luce della “partecipazione” democratica del centro, tenendo insieme, come suggeriva Tommaso d’Aquino, due beni comuni e complementari della vita politica: l’essenza nazionale dello Stato e l’esistenza storica dell’umanità.

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