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Perché ammiro la cautela di Draghi. Il mosaico di Fusi

Draghi si è mosso con pragmatismo e lungimiranza. L’ha fatto spiegando per prima cosa che la decisone del Cremlino è destinata a cambiare in profondità gli attuali assetti internazionali, per questo è necessario evitare risposte emotive e valutare con saggezza e ponderazione i passi da compiere.

Ma è vero o no che l’Italia, assieme a Germania e Ungheria, ha tirato il freno sulle sanzioni contro Putin ritenendo che debbano essere dure, ma non durissime? Ed è vero o no che Roma si dimostra il ventre molle della Ue e teme per i flussi di energia che arrivano da Mosca e per l’export tricolore verso la Russia, imponente a partire dalla moda, che vale complessivamente 8 miliardi e riguarda circa 300 aziende?

Sonno due interrogativi che aleggiano sui media mondiali e che finiscono per impattare direttamente sulla figura di Mario Draghi, sulla sua credibilità, sulla sua leadership in Italia ed in Europa.

Ma sono due interrogativi che affrontano da un angolo visuale sbagliato l’enorme e drammatica questione posta dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, e che lasciano in bocca l’amaro sapore della strumentalizzazione da parte dei nemici di SuperMario per limitarne il ruolo e l’agibilità. In realtà Draghi si è mosso con la cautela del pragmatismo e la lungimiranza d’azione riguardo la posta in gioco.

L’ha fatto spiegando per prima cosa che la decisone del Cremlino è destinata a cambiare in profondità gli attuali assetti internazionali. In profondità e in maniera durevole: per questo, proprio per salvare i valori in gioco che sono quelli della democrazia e del rispetto delle regole di civile convivenza tra Stati sovrani, ed impattano direttamente sul il destino delle future generazioni, è necessario evitare risposte emotive e valutare con saggezza e ponderazione i passi da compiere.

Per comprendere la portata del problema è necessario innanzi tutto considerare il tema della sanzioni. Sono davvero efficaci per contrastare i disegni da superpotenza di Putin e come devono essere articolate? La prima risposta è, necessariamente, sì. Per l’Europa e gli Usa alternative non esistono, o meglio si riducono ad una sola: l’intervento armato. Lo ha evocato Boris Johnson ma nessuno l’ha seguito, da nessuna sponda dell’Atlantico, neppure ipoteticamente.

Si capisce perché. Un conflitto in armi di portata mondiale sarebbe una tragedia di proporzioni immense e spalancherebbe le porte sull’incubo nucleare: quale governo può davvero assumersene la responsabilità di fronte ai suoi cittadini e al resto del pianeta? Escluso l’intervento militare non resta che quello economico. Che però non è di facile attuazione. Intanto perché Putin si muove avendo, almeno per il momento, le spalle coperte dalla Cina e quel che verrebbe a mancare dalle forniture dell’Occidente verrebbe rimpiazzato dagli apporti dell’Est asiatico sotto l’ombrello di Pechino. Senza dimenticare che in Russia non esiste un’opinione pubblica in grado di condizionare le iniziative del presidente russo.

E poi perché le sanzioni si scontrano col problema dell’approvvigionamento energetico drammaticamente squadernato dal presidente del Consiglio nell’aula di Montecitorio. “Le vicende di questi giorni – ha spiegato Draghi – dimostrano l’imprudenza di non aver diversificato maggiormente le nostre fonti di energia e i nostri fornitori negli ultimi decenni. In Italia, abbiamo ridotto la produzione di gas da 17 miliardi di metri cubi all’anno nel 2000 a circa 3 miliardi di metri cubi nel 2020, a fronte di un consumo nazionale che è rimasto costante tra i 70 e i 90 miliardi circa di metri cubi. Dobbiamo procedere spediti sul fronte della diversificazione, per superare quanto prima la nostra vulnerabilità e evitare il rischio di crisi future”. Eccolo il tallone d’Achille dell’Italia. È questo l’elemento fondamentale che spinge per non attivare la ritorsione verso Mosca tagliandole l’uso dello Swift, l’architrave finanziaria che regola tutte le transazioni economiche mondiali, forniture di gas comprese.

È lo spauracchio di Roma ma mette i brividi a tutto il resto delle capitali europee. È per questo che Draghi, di fronte ai ministri che paventavano scenari problematici, ha risposto con secchezza: “Lo so. Ma noi ci orienteremo come gli altri Paesi. E non ci tireremo indietro».

Ecco il punto. L’Italia è pronta a far la sua parte consapevole che la pressione a ridisegnare gli equilibri mondiali non può lasciar inerte Roma e l’Europa intera. Ma è necessario muoversi d’intesa con gli altri partner continentali e con gli Usa (che puntano sulla partnership italiana) e saper misurare le mosse per evitare devastanti effetti boomerang. Peraltro perfino Wall Street sconsiglia l’esclusione della Russia dalla Swift.

Diciamola tutta. Draghi resta un punto di riferimento importante ed indispensabile nella Ue. Accusarlo di scarso decisionismo suona come una beffa da parte di chi su altri fronti lo invita “ad essere Draghi” al cento per cento. I lampi di guerra costringono a muoversi su un terreno minato, avendo come sfondo l’angoscia del rombo dei cannoni e il massacro delle vittime civili.  Cautela e determinazione devono procedere di pari passo: sbagliare anche solo una mossa potrebbe avere effetti catastrofici.


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