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La crisi del centrodestra è un’opportunità irripetibile per il centrosinistra

Di fronte allo spettacolo di chi parla in solitaria di rifondazione e chi di federazione, il centrosinistra farebbe bene a sporcarsi un po’ le mani con il malcontento di un elettorato che si sente tradito e che, mai come oggi, è in libera uscita dallo schieramento d’origine, destinato a rimpolpare le fila già sostanziose del fronte astensionista

La débâcle sulla partita più importante ed attesa, quella del Quirinale, ha certificato la fine del centrodestra per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. I primi scricchiolii si erano già visti con la divisione sul governo Draghi ed i personalismi sulle elezioni amministrative, poi perse malamente. La brutta figura nell’elezione del Presidente della Repubblica, iniziata con la mancata compattezza sulla candidatura del fondatore della coalizione e terminata con lo scambio di insulti ed accuse tra (ex) alleati, è l’epilogo prevedibile di un film che gli elettori si sono stancati di guardare.

Di fronte allo spettacolo di chi parla in solitaria di rifondazione e chi di federazione, il centrosinistra farebbe bene a non rifugiarsi nei pop corn di renziana memoria ma dovrebbe avere il coraggio di sporcarsi un po’ le mani con il malcontento di un elettorato che si sente tradito e che, mai come oggi, è in libera uscita dallo schieramento d’origine, destinato a rimpolpare le fila già sostanziose del fronte astensionista.

Da troppi anni quest’elettorato è abituato a sentirsi insultato e delegittimato dal mondo politico e culturale della sinistra, ma al tempo stesso è sfiduciato dall’inadeguatezza delle nuove leadership del centrodestra. Probabilmente quest’ultima sensazione è prevalente rispetto alla prima dopo il clamoroso flop sul Quirinale e, in assenza di novità credibili all’orizzonte nel centrodestra, sarà difficile che queste persone possano tornare a credere convintamente in progetti portati avanti dagli stessi che hanno fallito i precedenti.

Il centrosinistra deve smetterla con la mentalità minoritaria di chi pensa che i voti “da destra” valgono di meno e deve mettersi in gioco per recuperarli, perché gestire il potere non può bastare senza la ricerca di un consenso allargato. Come farlo? È l’ora di buttare giù i muri ideologici ed affrontare temi che fino ad oggi hanno fatto breccia nell’elettorato di centrodestra, proponendo soluzioni non incompatibili al proprio Dna.

Pensiamo, ad esempio, al capitolo immigrazione che ha fatto le fortune elettorali della Lega di Matteo Salvini: l’esigenza di sicurezza, depurata da slogan chiassosi e strumentalizzazioni, si può conciliare con il modello dei corridoi umanitari che è fiore all’occhiello di quella Comunità di Sant’Egidio di cui è fondatore colui che sia per Letta che per Conte sarebbe stato un Capo dello Stato ideale: Andrea Riccardi.

La difesa degli ultimi, una delle bandiere storiche della sinistra, non può essere tradotta oggigiorno nella difesa dei ceti medio-bassi? Lavoratori autonomi e liberi professionisti sono le principali vittime delle conseguenze della pandemia e avrebbero bisogno di sentirsi parlare di una fiscalità più tollerabile e non di patrimoniali. In generale, è un tipo di elettorato che mal digerisce l’eccessiva ingerenza dello Stato nelle sfere di libertà individuale ma che – come da tradizione liberale espressa dall’ex segretario Pli e poi senatore Pd, Valerio Zanone – “riconosce la necessità dell’intervento pubblico al fine di correggere le condizioni di non libertà insiste nei rapporti sociali”.

Sono mondi, quindi, a cui il centrosinistra può iniziare a parlare se si spoglia dei suoi neo-dogmi ideologici e della sua presunta superiorità culturale ed intellettuale che l’ha condannata a non essere mai maggioritaria a livello elettorale. Se ambisce davvero a diventare un campo largo, è l’ora di concludere la stagione dei veti e dei rinfacci e prepararsi a diventare una casa accogliente per gli ex elettori (ma anche per eventuali soggetti politici non inclini alla ricorrente tentazione centrista) del centrodestra in disfacimento. È una scommessa non facile, ma che se vinta darebbe lustro alla politica e toglierebbe terreno all’astensionismo.


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