L’Ue volta pagina sui microchip. Pronto il piano per colmare il divario con la Cina e i rivali asiatici. Tre pilastri, diverse iniziative per accelerare la produzione. E un allentamento delle regole antitrust. Il contenuto del piano, in anteprima su Formiche.net
Autonomia strategica europea: atto uno. L’Ue è pronta a voltare pagina sui microchip. Martedì la Commissione europea pubblicherà l’atteso “Chips act”, il piano per accelerare la produzione europea dei semiconduttori, i “cervelli” digitali nanometrici al centro di una competizione globale.
Taiwan, Corea, Cina. L’Asia è in testa, l’Europa fanalino di coda: ha infatti una quota di mercato del 10%. Bruxelles vuole raddoppiare entro il 2030. Per farlo, secondo indiscrezioni, sarebbe disposta a mettere sul piatto quasi 50 miliardi di euro, la cifra stanziata dagli Stati Uniti di Joe Biden nel Chips for America Act in esame al Congresso.
Dall’automotive all’elettronica, ci sono interi settori industriali che dipendono dai microchip. Per accaparrarsi i siti di produzione è partita una nuova “corsa all’oro”, complice la pandemia che ha sconquassato le supply chain globali. Un chip però non vale l’altro. La Commissione Ue vuole colmare il gap con i competitor asiatici nella fascia di produzione dei chip più sofisticati, quelli intorno ai 2 nanometri, utilizzati nei settori ad alta intensità tecnologica.
Horizon Europe e Digital Europe, i due fondi europei dedicati al digitale, saranno la principale fonte di finanziamento del piano, spiegano a Formiche.net fonti di Bruxelles anticipando i contenuti della strategia.
Tre i pilastri intorno a cui ruoterà. Il primo consiste in una “nuova iniziativa” di “co-leadership” nella produzione di chip nel mercato digitale. Il secondo “la messa in sicurezza delle supply chain” e la creazione di un “ambiente favorevole” per gli investimenti in Ue. Dunque il terzo: “Aumentare il coordinamento tra Stati membri per monitorare meglio e reagire contro eventuali carenze”.
Nel testo non ci saranno riferimenti specifici ai fondi stanziati, con una eccezione: dieci miliardi di euro per “la leadership tecnologica nelle capacità di design e della manifattura. Si fa però accenno a una partnership pubblico-privata, la “Chips Joint Undertaking”, che finanzierà Chips for Europe, un’iniziativa europea per sviluppare nuove capacità nel design e nella fabbricazione dei semiconduttori.
Spetterà poi alla Commissione autorizzare eventuali richieste dei singoli Stati membri in merito ad aiuti di Stato facendo ricorso alla deroga contenuta nell’articolo 107 del Tfue. Una deroga che riguarderà le strutture di produzione “first of a kind” (“prime nel loro genere”), ovvero le fabbriche ad alto tasso di innovazione tecnologica (un “bollino” che dipenderà da più parametri: non solo le dimensioni dei chip, ma anche, ad esempio, la loro efficienza energetica).
L’Ue racchiude in due categorie: le “strutture di produzione integrata” per la manifattura dei chip e le “Fonderie Open-Eu” per il design. A patto però che alcune condizioni siano rispettate. Le strutture in questione infatti dovranno “impattare positivamente” la supply chain europea impegnandosi a investire nei chip di nuova generazione e non potranno essere soggette a pressioni o debiti di “Paesi terzi”.
Tra i progetti in cantiere della Commissione c’è poi l’intenzione di lanciare una piattaforma virtuale dove aziende e organizzazioni di ricerca potranno scambiare e confrontare best practice. Ma anche l’introduzione di uno “schema di certificazione” per i microchip “green, sicuri e affidabili” che farà la differenza in sede di gare pubbliche.
Quando si parla di microchip, del doman non v’è certezza. Basta uno stop in un’azienda di Taiwan per mandare in tilt le supply-chain internazionali. Anche per questo l’Ue metterà in piedi un “gruppo di monitoraggio” composto dagli Stati membri che dovrà valutare e anticipare scosse alle catene di produzione per prendere per tempo precauzioni.