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La corsa europea alle gigafactory (litio permettendo)

Prosegue la corsa del Vecchio continente su spinta della Commissione europea. L’obiettivo è quello di aumentare la quota Ue nella produzione globale di batterie per servire i propri colossi dell’automotive, e così mitigare la dipendenza dai player asiatici. Ma occhio al litio…

Si tratta, probabilmente, di uno dei fronti della battaglia tecnologica più importanti di questo secolo. La corsa alle gigafactory – enormi impianti di assemblaggio con una produzione misurata in giga, o miliardi, di wattora – è destinata a cambiare il panorama industriale dell’Europa.

Lo richiede l’impegno della Commissione, e degli Stati membri, a proseguire la strada, tortuosa, della decarbonizzazione del settore, che da solo conta per quasi metà delle emissioni climalteranti. Ma allo stesso tempo, è in ballo la rilevanza e competitività tecno-industriale di un intero comparto e del suo indotto.

Secondo l’International Energy Agency (IEA), il percorso verso net-zero entro il 2050 richiederà al settore della mobilità elettrica di crescere il 36% ogni anno, che significa avere 245 milioni di veicoli elettrici (EVs) già nel 2030 a livello globale. L’Unione europea ha di fatto strappato un accordo di massima tra i Paesi membri di tagliare le emissioni del 55% rispetto ai livelli del 1990 entro la metà del secolo (il pacchetto Fit for 55) tra cui l’ambizioso target di immettere 30 milioni di EVs entro il 2030. Dal 2035 in avanti, le emissioni dovranno essere del 100% inferiori. Per l’industria automobilistica, questo significa che gli EV dovranno contare per la maggior parte della produzione già entro il 2030 e che tutte le auto e i veicoli commerciali immessi sulle strade europee dovranno essere a zero-emissioni dal 2030. Una sfida enorme.

Lo stato dell’arte globale

Ma non si tratta chiaramente di un percorso in solitaria. L’ondata di regolamenti e fondi – tra cui i 3,5 miliardi da investire, tramite aiuti di Stato, approvati dalla Commissione nel gennaio del 2021 – ha travolto anche gli Stati Uniti, la Cina, il Giappone e la Corea del Sud e molti altri Paesi asiatici. Il 2021 ha infatti registrato un incredibile +113% nelle vendite di veicoli elettrici e di batterie immesse sul mercato rispetto all’anno precedente, con un record di 286.2 GWh secondo i dati di Adamas Intelligence. Un aumento di capacità che, tuttavia, è stato possibile grazie alla “potenza di fuoco” di tre grandi player asiatici: CATL, il colosso cinese delle batterie al litio (LFP – lithium iron phospate) che rifornisce Tesla, Peugeot, Hyundai, Honda, BMW, Toyota, Vokswagen e Volvo; LG Energy Solution, azienda coreana con partnership con Jaguar, Audi, Porsche, Ford e General Motors; e infine la giapponese Panasonic. Tre aziende che contano, ad oggi, per il 67% del mercato globale delle batterie.

Solo nel 2020, la Cina aveva una capacità produttiva di 465 GWh (74% del totale mondiale), con un distacco siderale dal 18% circa di Stati Uniti ed Europa messi insieme. Secondo le proiezioni di McKinsey & Company, entro il 2025 Pechino avrà una capacità di 1220 GWh, l’Ue di 479 GWh e per ultimi gli Stati Uniti con “solo” 289 GWh.

Ed è qui che dovrebbero giocare un ruolo importante le direttive europee. La domanda europea di batterie al 2030 sarà di circa 10-15 volte l’attuale volume di produzione in Ue, secondo i target stabiliti dalla Commissione. Tuttavia, uno studio recente di Transport & Environment ha rilevato che i piani annunciati dalle case automobilistiche europee sarebbero ben più ambiziosi dei regolamenti europei. Questo ci dice sostanzialmente due cose: la transizione all’elettrico è, tra le numerose criticità rilevate, un processo tecnologico che non corre necessariamente solo grazie al regolatore. In secondo luogo, quest’ultimo, oltre agli imperativi di decarbonizzazione, guarda anche alla necessità di una politica industriale europea che possa ridurre la dipendenza dalle importazioni asiatiche e affinare la competitività industriale del blocco.

Ad ogni modo, i segnali che i legislatori europei hanno lanciato è abbastanza chiaro: è possibile che le regole si faranno sempre più stringenti, dunque per gli automakers europei il phase-out se non sarà un processo calato dagli uffici a Bruxelles, lo sarà attraverso il rischio che possano perdere il mercato europeo a vantaggio dei colossi americani (come Tesla, il marchio EV già più venduto dopo Renault nel 2020) o in prospettiva di quelli cinesi e asiatici.

Se il problema dal lato della domanda potrebbe essere quantomeno risolto, sul lato dell’offerta il livello di penetrazione degli EV europei sarà una questione di competitività: senza gigafactory che possano rifornire gli OEM (original equipment manufacturers) europei, l’attuale debolezza sul fronte batterie rischia di trasformarsi in una nuova forma di dipendenza. Meno esistenziale rispetto alla crisi energetica attuale (gas), ma non meno esiziale da un punto di vista industriale.

L’annuncio il mese scorso della prima cella per batterie prodotta da Nortvolt ha rilanciato le speranze europee. La produzione di celle agli ioni di litio in Europa (EU-27, Gran Bretagna, Norvegia e Serbia) contava nel 2020 per il 15% delle capacità globali (35GWh). Come risultato degli annunci fatti dall’ecosistema industriale (industria delle batterie e colossi dell’auto), ci si aspetta che questo volume cresca tra il 28 e il 43% al 2030. Sono infatti più di 35 i progetti annunciati in Europa. Tra cui quello di Termoli di Stellantis, che dovrebbe iniziare la produzione entro il 2024 con il pieno sostegno del governo e dei fondi del PNRR, seppur non vi siano ancora i dettagli, che si aggiungerebbe a Italvolt e FAAM.

Una sfida materiale

Secondo un policy brief apparso sul sito del Progetto europeo di interesse comune sulle batterie (IPCEI Batteries), se la quota di veicoli elettrici prodotti dovesse crescere in uno scenario conservativo (quello che tiene conto i target della Commissione), la domanda di celle al litio da parte dell’industria automotive europea potrebbe essere coperta già nel 2023 sulla base dell’espansione di gigafactory annunciate. Non solo: entro il 2030 questa produzione potrebbe eccedere la domanda dal settore della mobilità elettrica e così coprire altri segmenti, quali l’elettronica e l’accumulo di energia dalle rinnovabili.

Stime che appaiono molto incoraggianti, ma che ben presto potrebbero scontrarsi con la dura realtà. “Costruire grandi capacità di batterie al litio in scala e assicurare le loro supply chain è una delle più grandi sfide industriali del XXI secolo”, ha twittato Simon Moores, CEO di Benchmark Minerals Intelligence (BMI). Sfide tra cui quella dei prezzi dei battery metals, ovvero i metalli critici essenziali per la fabbricazione delle batterie, tra cui il litio.

L’approvvigionamento delle materie prime, così come per i semiconduttori, per la produzione di batterie e di altre componenti per i veicoli elettrici è infatti un rischio molto serio per gli operatori del settore e per le istituzioni europee in un’ottica di autonomia strategica.

L’aumento dei prezzi, che già segnala un crescente mismatch tra domanda e offerta, se dovesse diventare strutturale potrebbe avere pesanti ricadute sulla penetrazione degli EV, dal momento che le batterie contano per un terzo del costo totale delle vetture. Secondo i dati riportati da BMI e ripresi dal Wall Street Journal, tra gennaio 2020 e febbraio 2022 i prezzi del cobalto, del nickel e del litio sono aumentati rispettivamente del 119, 55 e 569%.

A preoccupare in particolar modo è la scarsità di litio all’orizzonte. Sempre secondo BMI, il deficit al 2030 potrebbe raggiungere il volume stratosferico di 300,000 tonnellate di LCE (lithium carbonate equivalent). Perché il litio, a differenza di nickel, cobalto e manganese, rimane ad oggi insostituibile per le performance delle batterie. In altre parole, se non verranno aperti ulteriori siti estrattivi, la rivoluzione della mobilità elettrica potrà subire significativi rallentamenti.

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