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La crisi del sistema politico. La lezione per l’Italia di Ortega y Gasset

Il pensatore iberico in un suo celebre libro del 1922 si interrogava sui mali della Spagna, che solo trasformandosi con un lento e progressivo cambiamento avrebbe potuto curarsi. Una terapia che può adattarsi alla situazione attuale dell’Italia, se guardiamo alla crisi irreversibile e profonda dei partiti politici e della politica in generale andata in scena per l’elezione del Capo dello Stato

Il grave problema spagnolo, che si presentava alla Spagna dell’inizio del secolo scorso, non si limitava al particolarismo regionale, ma soprattutto al particolarismo politico, sociale ed istituzionale. Nessuno faceva affidamento su nessuno e per questo si odiava il politico. Tutti distruggevano e nessuno costruiva. Persino la Chiesa e la Monarchia non si preoccupavano degli interessi nazionali, preferendo far eleggere sempre i peggiori rappresentanti politici e determinando così una selezione all’inverso. “Nei momenti di decadenza, – scriveva il grande pensatore iberico Ortega y Gasset in un suo celebre libro “Espana invertebrata” del 1922, che ebbe un grande successo – quando una nazione si sgretola, vittima del particolarismo, le masse non vogliono essere masse, ogni membro di esse si ritiene una personalità dirigente, e, rivoltandosi contro tutti quelli che eccellono, scarica su di loro il suo odio, la sua inettitudine e la sua invidia”. …”Ovunque assistiamo al deprimente spettacolo che i peggiori, che sono la maggior parte, si rivoltano di frequente contro i migliori… Così la nazione si disfa, la società si smembra e sopravviene il caos sociale, “l’invertebrazione storica’”.

Ortega y Gasset auspicava perciò che si formasse una nuova “aristocrazia” fondata sulla cultura, sul riconoscimento dei migliori, su coloro che si dedicano sacrificio ed impegno; su coloro che operano e creano. Si faceva perciò sempre più urgente – scriveva Ortega y Gasset – il problema educativo, giacché per curare i mali della Spagna bisognava trasformarla, trasformare gli uomini, ma ciò richiedeva un processo lento e progressivo.

Quella diagnosi e quella terapia possono adattarsi benissimo alla nostra situazione sociale, politica ed istituzionale.

Come ha dimostrato la vicenda che ha portato alla elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica e che ha fatto emergere ancora una volta in maniera eclatante la crisi irreversibile e profonda dei partiti politici e della politica in generale.

Infatti i peones hanno alzato un fuoco di sbarramento contro i “tecnici, – scrive Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera – confermando di essere prigionieri di un’idea un po’ invecchiata della politica, e dimenticando che, quando arrivano i professori, è perché i professionisti hanno fallito. Forse i politici sottovalutano il discredito che ancora li circonda nell’opinione pubblica, anche perché non sono stati scelti dai cittadini, bensì disegnati dai capi partito”.

Ed inoltre poiché la politica non ammette vuoti, – ha scritto Angelo Panebianco sempre sul Corriere della Sera – l’indebolimento dei partiti ha favorito l’allargamento dei margini di manovra e l’accrescimento del potere di istituzioni non rappresentative: dalle magistrature di ogni ordine e grado alla Pubblica amministrazione e a tanti enti che compongono il parastato. Le magistrature (ordinaria, amministrativa, costituzionale) non si sono assicurate solo l’indipendenza costituzionalmente garantita. Approfittando della debolezza dei partiti hanno invaso il campo altrui, hanno ridotto di molto il potere discrezionale della politica…

“Si tratta di un insieme di potentati che, affievolitosi il controllo partitico-politico, sono diventati padroni del proprio destino, repubbliche indipendenti”. “Infine – rincara con un affondo Innocenzo Cipolletta sul Domani – “Il nostro non è un Paese per i migliori. Coloro che emergono perché hanno studiato, hanno fatto un percorso di vita e di carriera professionale brillante nelle istituzioni o nella politica o nella vita civile, hanno reputazione nazionale e internazionale, si sono impegnati a fondo senza lasciarsi distrarre dalla pur legittima voglia di arricchirsi. Vengono visti spesso con fastidio dai politici, sono considerati supponenti, sembrano stare lì sono per testimoniare la modestia e l’inconsistenza di tutti gli altri. Il paese si può affidare a loro quando ci sono difficoltà da superare, ma poi, una volta superate è meglio sbarazzarsene”.

La Camera e Senato esistono ormai come meri passacarte di un potere esecutivo, che sta altrove: attualmente alla BCE, alla Banca d’Italia, alla Commissione europea. E non a caso le due Camere vengono coinvolte il meno possibile e sono “sotto schiaffo” permanente della richiesta di fiducia. E tutti alla fine cedono e si adeguano, abbozzando: PD, Lega, M5 Stelle, sindacati, grande stampa ecc. Resta fuori solo Fratelli d’Italia, che può andare all’incasso proprio dopo la vicenda Mattarella, tentando di depotenziare la Lega più estrema.

È perciò un’Italia “invertebrata” quella che abbiamo davanti e che si regge in piedi solo per affrontare le varie emergenze, venendo tutto giustificato esclusivamente proprio dalle emergenze. Sono quasi 15 anni che il clima di emergenza è diventata normalità: normale la crisi dei partiti, normale la sospensione delle garanzie personali, normale l’emergenza economica e pandemica.

Ma se vogliamo tornare alla normalità, però, dovremmo partire da una grande opera di educazione nazionale, mettendo in moto tutte le agenzie educative: le scuole, i corpi sociali intermedi che fanno cultura, le fondazioni, le università e le accademie, ecc. ecc. E praticando una politica che metta al centro, prima di tutti gli altri, soprattutto il tema della formazione della classe dirigente, recuperando il legame tra decisori e competenza, riscattando la supremazia del sapere, suscitando il senso dello Stato e delle istituzioni. Non basterà infatti solamente rinnovare i sistemi elettorali (proporzionale o maggioritario), né promuovere riforme istituzionali (elezioni diretta del Presidente della Repubblica o del Presidente del Consiglio) ecc.

E qui il cerchio si chiude, ritornando ai suggerimenti di Ortega Y Gasset validi anche per il nostro Paese.

“Se l’Italia (la Spagna) vuole resuscitare, è necessario che si impadronisca di lei un formidabile appetito di tutte le perfezioni. La grande sventura della storia italiana (spagnola) è stata negli ultimi tempi la carenza di minoranze egregie e l’imperturbato imperio delle masse. Per lo stesso motivo, da oggi in avanti, un imperativo dovrebbe governare gli stili e orientare le volontà: l’imperativo di selezione” e l’applicazione del criterio della meritocrazia. Insomma consentire di essere élite in politica, nella società, nell’economia, nella cultura, nella vita solamente a chi è bravo, studia, è competente e si sacrifica al servizio della comunità.

 



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