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Delrio sbaglia, il centro è il destino del Pd. Firmato Fioroni

Dice Graziano Delrio che il centro è una proposta vecchia. So perché alza le barricate, ma consiglierei, non solo a lui, di usare maggiore prudenza. Il commento di Giuseppe Fioroni

Non mi convince la demonizzazione del centro. Se c’è un futuro per il Partito democratico, ovvero se può materializzarsi da qui al 2023 una sua adeguata capacità di aggregazione, tutto dipende dal moto centripeto della politica che esso avrà in animo di costruire e proporre, per dare continuità all’azione di Mario Draghi. Non vedo francamente come si possa fare a meno di un simile approccio, visto il bisogno palpabile di unità che nel Paese si coglie.

L’elezione di Sergio Mattarella è il riflesso potente, di cui si è fatto carico il Parlamento fin dalle prime votazioni, di questa preponderante tensione unitiva. È immaginabile un’Italia che attraversa, da qui al prossimo anno, un terreno di ampia collaborazione e poi affronta la verifica elettorale sulla base di una schematica replica dello scontro tra destra e sinistra?

Dice Graziano Delrio che il centro è una proposta vecchia. So perché alza le barricate, ma consiglierei, non solo a lui, di usare maggiore prudenza. Di questo passo avremo un Pd che implode nel suo progressismo autarchico, spoglio di alleanze capaci di offrire ospitalità a una politica riformatrice, meno fedele di quanto s’immagini alla difesa del modello Draghi. Delrio teme il centro come palude, ma non considera che la palude, osservata e conosciuta in questo ultimo quarto di secolo, si è imposta laddove la destra e la sinistra hanno ceduto a un criterio di prevaricazione, stando almeno alla percezione comune. Chi ha vinto, non ha governato. Forse è vecchia, allora, la riproposizione di questa dialettica.

A mio modo di vedere il destino del Partito democratico sta proprio nel farsi “centro”, come del resto è avvenuto appena qualche mese fa in Germania, con la socialdemocrazia di Olaf Scholz che ha rivendicato di fronte agli elettori l’eredità di Angela Merkel. Per noi, in Italia, è più semplice e complicato: l’eredità di Draghi è il titolo di un lavoro svolto dalla maggioranza di governo e insieme il disegno di una continuità pensata all’insegna di un Draghi comunque presente, ancora alla guida del Paese.

Sarebbe diabolico ripetere l’errore commesso all’epoca di Mario Monti, quando i partiti dopo una fase di collaborazione allestirono alleanze in aperto contrasto con tale operato. La sconfitta di Pier Luigi Bersani è ancora lì a ricordare l’incongruità di manovre illogiche.

Il mio augurio, allora, è che si ragioni con serietà e serenità, perché hanno interesse un po’ tutti, anche coloro che non lo votano, ad avere un Partito democratico che ostenti una funzione “centrale”. E ben difficilmente potrà farlo se non avrà cura di dialogare con la piccola galassia, forse non più così piccola da adesso in avanti, che costituisce o intende costituire il “nuovo centro” della politica italiana.


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