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Destra ma non troppo. L’operazione Meloni-Urso con vista Chigi

Appunti per Salvini. A destra, lato Meloni, hanno capito che oltre alle piazze serve conquistare i palazzi. Dopo l’Atreju ecumenico la scuola della Fondazione Farefuturo di Urso con un parterre bipartisan, da Amato a Sapelli. Operazione classe dirigente, vista Chigi

Eppur si muove. Come nell’epopea salviniana ai tempi del governo gialloverde, ai tempi dei respingimenti e del “Capitano” al 36%, oggi l’epopea di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia, in cima ai sondaggi e unico partito di opposizione, rischia di incappare nello stesso paradosso: forte nelle piazze, molto meno nei palazzi.

Se la destra non fa breccia nei cuori dell’establishment e continua a navigare lontano da Palazzo Chigi è anche perché alle mattanze elettorali non affianca una strategia di lungo respiro. Ad esempio, la formazione di una classe dirigente e intellettuale che oltre ai salotti dei talk show un po’ gridati si riprenda i salotti che contano e costruisca un po’ di “pensiero” per i tempi che verranno.

A quest’operazione non si sottrae la Fondazione Farefuturo, creatura di finiana memoria che vede in Adolfo Urso, senatore di Fdi e presidente del Copasir, l’animatore e il “padre nobile”. Come ogni anno è arrivato il momento della “Scuola di formazione”. E già dalla lista degli invitati qualcosa si capisce dell’aria che tira. C’è il politologo Giovanni Orsina e l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi, c’è l’immancabile Giulio Sapelli e il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano. Ma anche i presidenti della Corte Costituzionale e della Consob Giuliano Amato e Paolo Savona, il filosofo Massimo Cacciari ed Ernesto Galli della Loggia, il renziano Claudio Velardi e il presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini. Insomma, non proprio un rassembramento di sovranisti destrorsi.

Per la fondazione non è una novità. Nei rapporti che ogni anno pubblica sull’Italia e la bussola strategica del Paese ce n’è per tutti i colori e tutte le sensibilità. Presentando la scuola al Senato, è stato Urso a spiegare il senso dell’operazione, con una frecciatina (leggasi: fuoco amico) ai mattatori social che non è passata inosservata. “Formare la classe dirigente è diventata una necessità, forse la priorità del sistema politico italiano, proprio perché non esistono più i partiti con le loro organizzazioni territoriali, che di per sé erano comunque luoghi di formazione con il loro cursus. Altrimenti, ed è questo il rischio, tutto nasce e muore sui social, anche le leadership che in tal caso vanno definite followship”.

Poi un momento nostalgia. “Un tempo c’erano le Frattocchie (la scuola dei quadri del Pci, ndr) e le loro simili in altri partiti, nei sindacati, nelle associazioni, nelle scuole. Fucine da cui spesso nasceva parte della classe dirigente del Paese. Con la crisi della rappresentanza si è aperto un vuoto nella formazione che va colmato per essere in grado di cogliere la portata delle nuove sfide per la democrazia nella fase post pandemica”.

Chi conosce Urso sa quanto tenga alla sua immagine di pontiere. Ha viaggiato in Iran ma è un amico fidato di Israele, conosce a menadito la Cina e però si dichiara convinto atlantista, talvolta rispolverando foto del suo viaggio a Washington DC insieme al premier Silvio Berlusconi nella veste di viceministro del Commercio. Da quasi un anno è alla guida del Copasir, il comitato bipartisan che lo ha eletto dopo un lungo tiro alla fune con i leghisti e che però in questi mesi ha trovato la quadra mettendo da parte infine le faide interne.

Qui però, rivendica Urso e insieme a lui la fondazione, c’è un segnale più ampio. Quello di una destra che si vede e crede presidenziabile non solo in forza dei sondaggi rampanti ma anche e soprattutto per una “scuola” che possa vincere le remore dell’establishment politico e culturale. Segnali sparsi qua e là e da tempo. Prendere Atreju, il festival ormai appuntamento fisso della destra meloniana, che anche quest’anno ha chiamato a Piazza Risorgimento i leader di tutte le forze politiche, nessuna esclusa, con un applausometro perfino più clemente con Giuseppe Conte ed Enrico Letta.

O ancora la tela internazionale che Meloni, anche qui con Urso, tesse da tempo. In America, ad esempio, non sono i trumpiani doc il terminale ultimo ma il più moderato (e per niente trumpiano) mondo dell’International Republican Institute (Iri), storico think tank ultimamente molto attivo a Roma che nel suo Olimpo politico non conta The Donald ma Ronald Reagan e John McCain. Funzionerà? Sarà il tempo a dirlo. Ma una volta tanto a destra c’è chi prova a gettare il cuore e lo sguardo oltre il tweet di giornata.

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