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Direttiva Sup, Roma in disaccordo con Bruxelles sulle bioplastiche

Il recepimento nell’ordinamento nazionale della Direttiva Sup (Single Use Plastic) con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il 30 novembre 2021 del Decreto Legislativo 196/2021, riguarda le posate, i piatti, le cannucce per bibite, i cotton fioc, le aste dei palloncini, i contenitori per alimenti destinati al consumo immediato sul posto o all’asporto, compresi quelli tipo fast food. Ecco cosa ha deciso l’Italia

Il 14 gennaio scorso è entrato in vigore il provvedimento che vieta la commercializzazione dei prodotti in plastica usa e getta. Si tratta del recepimento nell’ordinamento nazionale della Direttiva Sup (Single Use Plastic) con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il 30 novembre 2021 del Decreto Legislativo 196/2021. Riguarda le posate (forchette, cucchiai, coltelli), i piatti, le cannucce per bibite, i cotton fioc, le aste dei palloncini, i contenitori per alimenti destinati al consumo immediato sul posto o all’asporto, compresi quelli tipo fast food. L’obiettivo del legislatore è di prevenire e ridurre l’impatto di questi prodotti sull’ambiente, “in particolare l’ambiente acquatico”, e sulla salute umana. Si intende così “promuovere la transizione verso un’economia circolare con modelli imprenditoriali, prodotti e materiali innovativi e sostenibili, contribuendo in tal modo alla riduzione della produzione di rifiuti, al corretto funzionamento del mercato e promuovendo comportamenti responsabili rispetto alla corretta gestione dei rifiuti in plastica”.

È ben noto infatti l’impatto che questi rifiuti continuano ad avere soprattutto nei mari di tutto il mondo. Il marine litter è considerata una emergenza ambientale planetaria, seconda per importanza solo ai cambiamenti climatici. Gli è stato dato anche un nome: “zuppa di plastica”. Un paio di anni fa è uscito anche un volume “Atlante mondiale della zuppa di plastica” dello scienziato e politologo olandese Michiel Roscam Abbing, pubblicato in Italia da Edizioni Ambiente.

La prima parte del libro è dedicata alle origini della zuppa di plastica, mentre la seconda presenta alcune soluzioni che potrebbero risolvere il problema. “La zuppa di plastica è ovunque, avverte l’autore nell’introduzione; oltre che negli oceani, è nei fiumi, nei canali, nei mari, sulla terra e perfino nell’aria. Si accumula e si disgrega nell’ambiente e ciò provoca tutta usa serie di danni collaterali che annullano completamente ogni vantaggio. In un modo o nell’altro, ha effetti su più di un migliaio di specie animali, che la ingeriscono oppure ne vengono feriti o soffocati. Non che per la specie umana vada meglio: la verità è difficile da digerire – letteralmente – e tutta questa plastica ci fa ammalare, come dimostrato da un numero crescente di studi e ricerche”.

Per dire, il Mar Mediterraneo, secondo un rapporto dell’Iucn (International Union of Conservation of Nature) è quello più colpito al mondo da questo tipo di inquinamento. Ogni anno finiscono nel mare nostrum ben 230 mila tonnellate di plastiche. Sono per la maggior parte (94%) macroplastiche, come sacchetti e bottiglie; il restante sei per cento è costituito da microplastiche, piccoli frammenti che vengono facilmente ingeriti dai pesci entrando così nella catena alimentare per arrivare fino all’uomo. Si calcola che nel Mediterraneo siano presenti 1 miliardo 200 mila tonnellate di plastica. Di tutti i rifiuti marini rivenuti sulle spiagge oltre l’80% sono rifiuti di plastica; di questi gli oggetti di plastica monouso rappresentano il 50% .

Ridurre i rifiuti marini, ricorda la Commissione Europea, è un passo fondamentale per conseguire l’obiettivo 14 di sviluppo sostenibile previsto dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite del 2015: conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile. Da questi dati e da queste premesse nasce la direttiva in questione. Che il governo italiano recepisce escludendo dal campo di applicazione i prodotti monouso in plastica biodegradabile e compostabile. La lettera con le obiezioni della Commissione è del 16 dicembre 2021, con la quale si chiedeva lo stop alla pubblicazione fino al 23 marzo per recepire le osservazioni della Commissione. Ma il 30 novembre, prima che arrivasse la lettera da Bruxelles, il decreto di recepimento della direttiva veniva pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

Cosa chiedevano i funzionari europei ai colleghi italiani? Riportiamo integralmente il testo della lettera: “La Commissione osserva che l’articolo 5 della Direttiva Sup stabilisce un chiaro divieto per gli Stati membri di immettere sul mercato i prodotti di plastica monouso elencati nella parte B dell’allegato alla direttiva… che non prevede alcuna eccezione per la plastica biodegradabile. Al contrario prevede esplicitamente che la definizione di “plastica” contenuta nella direttiva dovrebbe comprendere la plastica a base organica e biodegradabile… Pertanto, tale plastica biodegradabile è considerata come qualsiasi altra plastica”.

La lettera ricorda inoltre alle autorità italiane che “l’emissione di un parere circostanziato obbliga lo stato membro… a rinviare di sei mesi l’adozione a decorrere dalla data della notifica”. Si arriva così al 23 marzo 2022.

Soddisfazione per questa soluzione di casa nostra è stata espressa da Assobioplastiche, l’associazione che comprende produttori, trasformatori e distributori dei materiali biodegradabili e compostabili. In una nota sostiene “l’utilizzo dei manufatti biodegradabili e compostabili recuperabili assieme agli alimenti con cui sono destinati a entrare in contatto, evitando ai cittadini e ai gestori di dover separare gli uni dagli altri in fase di raccolta e riciclo”. D’altra parte, aggiunge la nota, “l’Italia vanta un consolidato ed efficace sistema di trattamento dei materiali biodegradabili in grado di gestire questi flussi garantendone il recupero presso impianti dedicati alla frazione organica”.

Si augura, quindi, che il governo italiano “persegua questa strada nell’interlocuzione con la Commissione europea”.
Proprio lo scorso anno l’Associazione ha tagliato il traguardo dei suoi primi dieci anni di attività. Secondo il rapporto presentato, nel 2020 i volumi complessivi di manufatti compostabili sono stati di quasi 111 mila tonnellate, con un fatturato di oltre 800 milioni di euro. Alla fine del 2019 è partito un progetto europeo, della durata di quattro anni, che mira ad “approfondire il tema delle soluzioni sostenibili idonee alla produzione e all’uso delle plastiche biodegradabili e compostabili, a tutela della qualità ambientale del mare e del suolo”.

Coordinato dall’Università di Scienze Applicate di Amburgo, il progetto intende sperimentare soluzioni innovative che “facilitino strategie efficaci per l’utilizzo e il riciclo delle plastiche compostabili applicati in molteplici settori, quali gli imballaggi alimentari, l’agricoltura, il foodservice e i consumer goods”.

Per completezza di informazione c’è da registrare una nuova realtà che sta operando da oltre un anno nel settore delle bioplastiche. Si tratta del Consorzio Biorepack che va ad aggiungersi ai sei Consorzi di filiera del Sistema Conai, il Consorzio Nazionale Imballaggi. Gli altri, lo ricordiamo, sono Cial (alluminio), Comieco (carta), Corepla (plastica), Coreve (vetro), Ricrea (acciaio) e Rilegno (legno).

Primo consorzio del settore in Europa, Biorepack nasce con lo scopo di organizzare e promuovere “lo sviluppo della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio in plastica biodegradabile” e l’avvio a riciclo organico di questi rifiuti.

Sono gli shopper dell’ortofrutta che consentono il trasporto delle merci e che poi devono essere utilizzati per la raccolta e il conferimento del rifiuto umido. Secondo uno studio di Plastic Consult nel 2019 erano 275 le imprese del comparto con 2650 addetti e u n fatturato di 745 milioni di euro.


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