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Draghi e l’arma contundente della questione giustizia

La carne al fuoco è tanta, sulla giustizia, e condizionerà i prossimi mesi perché lacera la coalizione di larghe intese a sostegno di SuperMario, che davvero non ne avrebbe bisogno visto che è già abbondantemente lacerata di suo. Tuttavia sarebbe delittuoso lasciar cadere una simile opportunità. Il mosaico di Carlo Fusi

Chissà se Mario Draghi avrebbe scommesso sul fatto che il tratto finale della legislatura – e forse anche quello di lui a Palazzo Chigi – sarebbe stato caratterizzato dal tema giustizia, il macigno che ingombra l’Italia da ormai trent’anni. Anniversario che peraltro cade a fagiolo con annessi festeggiamenti: cinque lustri da Mani Pulite e via con le rievocazioni, le riscritture, i pentimenti che sempre affollano le vicende politico-sociali nostrane. Non a caso siamo il Paese dove il gesuitismo è stato insegnato e ha fatto proseliti da secoli. C’è spazio perfino per un rinvio a giudizio nei riguardi di Piercamillo Davigo: davvero una rivoluzione.

Sia chiaro: è vero che la questione è di prim’ordine. Siamo partiti con i richiami della Ue riguardo il Next Generation Eu e la necessità prioritaria di riformare il comparto giustizia (l’altro settore citato dal von der Lyen è la Pubblica amministrazione) per ottenere i fondi Ue. Siamo passati per le leggi Cartabia, i referendum ammessi dalla Consulta e quelli bocciati, per poi piombare – e attenzione: sempre a proposito di revocazioni, ce n’est que un debut – al voto con il quale il Senato ha dato ragione a Matteo Renzi sul conflitto di attribuzione alla Corte Costituzionale riguardo le indagini sulla Fondazione Open. “Non è un reato fare politica”, ha esclamato in aula l’ex premier ora senatore di Rignano, e gli applausi seguiti hanno avuto il carattere di una sorta di liberazione.

Che significa tutto questo, e che valore ha per un Paese che fatica da morire ad approfittare di una occasione storica fornita da Bruxelles? Le risposte possono essere molteplici, ma una si impone sulle altre: e cioè che appunto è ora di rimuovere il macigno giustizia, sgombrarlo definitivamente e ripristinare il corretto funzionamento degli ingranaggi di un sistema democratico che si basa sulla separazione dei poteri e sulla costituzionalmente prevista leale collaborazione tra di loro.
Chi immagina che la leva per sollevare il macigno sia l’avvio di una stagione di ritorsione politica nei confronti della magistratura che ha esondato dal suo alveo e dai suoi compiti (l’ha fatto, non ci sono dubbi) è fuori strada. Così facendo, il macigno non solo rimarrebbe piantato dov’è ma acquisterebbe perfino maggiore consistenza.

Il punto è riformare il sevizio giustizia ottenendo processi più celeri e meno condizionati da eventi esterni a partire dalla spettacolarizzazione delle indagini e dei dibattimenti: anche qui applausi scroscianti nell’aula di palazzo Madama quando Renzi ha gridato che siamo nella nefasta condizione per cui “conta più una velina delle Procure delle sentenze della Cassazione”. Un schiaffone all’informazione, che se lo merita tutto.

E oltre alla velocizzazione, fare in modo che il servizio giustizia sia sottratto al gioco delle correnti in seno al Csm, che la sacrosanta autonomia e indipendenza delle toghe non venga interpretata da Pm sparsi nella sospensione dei diritti costituzionali: a partire dalla presunzione di innocenza e al carcere come strumento di pressione invece che extrema ratio, per finire alla tutela della privacy degli indagati che non possono vedere stravolta la loro vita per anni e poi magari sentirsi dire che sono innocenti senza neanche un cenno di scuse.

La carne al fuoco è tanta. Oltre a quella suddetta, ci sono le norme che devono consentire il superamento di alcune consultazioni popolari ammesse dalla Consulta; c’è il confronto sull’ergastolo ostativo; c’è lo scontro tra sindaci e partiti politici a cominciare dal Pd sula sterilizzazione della legge Severino.

Tanta roba che, appunto, condizionerà i prossimi mesi perché è oltremodo divisiva e lacera la coalizione di larghe intese a sostegno di SuperMario che davvero non ne avrebbe bisogno visto che è già abbondantemente lacerata di suo. Tuttavia sarebbe delittuoso lasciar cadere una simile opportunità. Per decenni, anche dal parte di chi ora fa finta di dimenticarlo, l’appoggio agli impulsi giustizialisti e “manettari” degli italiani vellicandone la pancia gonfia di rabbia e delusione, è stato il profilo politico-mediatico con il quale hanno ingaggiato gare di sportellate forze politiche e movimenti (nonché presunti e vocianti opinion leader) con l’obiettivo o di ridimensionare lo Stato di diritto.

È il momento di invertire la tendenza, senza per questo assolvere un sistema politico che dei ricordati diritti costituzionali si è spesso fatto scudo per nascondere le proprie responsabilità. Anche se contundente, il confronto deve arrivare fino in fondo. Se non ora quando è la bandiera che tutti, toghe e politica, dovrebbero fare propria.


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