Il premier etiope Abiy Ahmed dà inizio alla produzione di energia idroelettrica sulla diga più controversa dell’Africa. Egitto e Sudan temono per la propria sicurezza idrica, ma l’Etiopia si rifiuta di dialogare. E Cina e Russia guadagnano dall’instabilità
Domenica 21 febbraio, premendo una serie di bottoni virtuali in diretta televisiva, il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha ufficialmente avviato la produzione di energia nella centrale idroelettrica della mega-diga Gerd, sul Nilo Blu. Una vera pietra miliare in una strada lunga e controversa, che vede i Paesi a valle – Sudan ed Egitto – preoccupati per l’impatto della diga etiope sulla propria sicurezza idrica. La condanna del ministero degli Esteri egiziano è arrivata poco dopo la diretta.
Di diverso avviso il premier etiope, che su Twitter ha salutato l’evento con gioia; l’apertura della centrale, ha scritto, è una buona notizia per l’Africa intera e “per quelli di noi nei Paesi a valle che vogliono lavorare insieme”. Logorato da anni di conflitto interno nella regione del Tigray, che si è aggravato nel 2021, il governo di Abiy sta dipingendo l’evento come un successo per lo sviluppo economico e sociale per il Paese africano.
Verso il “rinascimento etiope”
L’Etiopia conta 110 milioni di abitanti, due terzi dei quali non ha accesso all’elettricità. Per questo Abiy ripone grandi speranze nella diga, riflesse nel nome esteso: Great Ethiopian Renaissance Dam, la Grande diga del rinascimento etiope, un progetto da 5 miliardi di dollari destinato a diventare il più grande impianto idroelettrico del continente africano. Il sistema si basa su una sequenza di quattro dighe ed è stato costruito all’80%; una volta terminato potrà generare più di 5.150 megawattora, raddoppiando la capacità di generazione del Paese.
“L’interesse principale dell’Etiopia è di portare la luce al 60% della popolazione che soffre nell’oscurità, di salvare il lavoro delle nostre madri che portano la legna sulla schiena per ottenere energia”, ha detto il premier in diretta televisiva, prima di rassicurare i Paesi a valle. “Come potete vedere, quest’acqua genererà energia mentre scorre [esattamente] come scorreva prima verso il Sudan e l’Egitto. A differenza delle voci che dicono che il popolo etiope e il governo stanno arginando l’acqua per affamare l’Egitto e il Sudan”.
Un progetto conteso
La costruzione della maxi-diga è iniziata nel 2011, quando l’allora leader etiope Meles Zenawi approfittò della distrazione causata dalle Primavere arabe per dare il via al progetto nonostante l’opposizione del Cairo. L’Egitto vanta una grande influenza sulla regione ma ottiene almeno il 95% della propria acqua dal Nilo, che a sua volta ne riceve l’85% dagli altipiani etiopi.
Non deve sorprendere, dunque, che il progetto Gerd sia percepito dagli egiziani come una minaccia esistenziale. Posizione condivisa dai vicini sudanesi, che l’estate scorsa hanno sfiorato un conflitto armato con gli etiopi dopo che questi ultimi hanno iniziato a riempire il bacino, diminuendo l’afflusso di acqua a valle.
Fu appunto per proteggere la propria sicurezza idrica che nel 2015 il Cairo e Khartoum siglarono un trattato assieme ad Addis Abeba, per impedire iniziative unilaterali sull’utilizzo dell’acqua del Nilo. Nel 2020 l’Egitto accusò l’Etiopia di aver infranto il trattato con la decisione di iniziare il riempimento del bacino idrico della Gerd; la seconda violazione, secondo il Cairo, sarebbe arrivata domenica.
Che la Gerd verrà ultimata è un dato di fatto. Il tema di discussione ora è la velocità di riempimento del bacino idrico, che l’Etiopia vuole completare entro il 2028. Troppo veloce per le nazioni a valle, che hanno chiesto invano di rallentare il processo per diminuire l’impatto sulla fornitura idrica. Stessa sorte per la proposta di condividere le informazioni e coordinare il controllo della diga, che l’Etiopia ha visto come una violazione della propria sovranità. Ulteriori negoziazioni in seno all’Unione africana e alle Nazioni Unite non stanno dando frutti.
Ombre cinesi (e russe)
La strategicità del progetto Gerd e della regione africana in questione cattura da anni l’attenzione delle grandi potenze globali. Fu l’ufficio di bonifica statunitense a identificare l’area in cui costruire la diga, tra gli anni cinquanta e sessanta. Nel 2019 il Cairo ha chiesto a Washington di mediare una soluzione “più giusta e bilanciata”, poi si è rivolto a Mosca, che sta gradualmente rafforzando la sua influenza nel continente africano.
Nemmeno la Cina è riuscita a cambiare l’esito delle negoziazioni tra Etiopia, Egitto e Sudan, pur avendo provato a proporsi come mediatore. Ma il Celeste Impero rimane il partner commerciale più importante dell’Etiopia. Addis Abeba ha finanziato gran parte del progetto Gerd da sola (anche grazie all’emissione di obbligazioni) ma Pechino ha concesso prestiti miliardari e finanziato i cavi ad alta tensione che vanno dalla centrale della diga ai centri urbani più vicini. In più, alcune aziende cinesi sono state ingaggiate per velocizzare la costruzione della maxi-diga etiope.
Per gli analisti la presenza cinese nel progetto Gerd – e altre 21 dighe sparse nel continente africano – è solo un tassello di un’operazione ben più ampia. Il partito-Stato tesse da anni una rete di finanziamenti e relazioni con i Paesi africani, anche attraverso la Nuova Via della Seta, per incrementare la propria influenza globale e assicurarsi il controllo di alcune catene di produzione cruciali, tra cui quella delle terre rare.
L’interesse dell’Ue e degli Stati Uniti per la regione si spiega se si pensa all’Africa come a un terreno di contesa in cui serve contrapporre il modello di governance occidentale a quello autocratico. Ma le tensioni tra Etiopia, Egitto e Sudan continuano ad alimentare l’instabilità, il terreno più fertile per le soluzioni meno compatibili con la democrazia – come si è visto in Mali. Senza una convinta azione occidentale, il progetto Gerd rischia di aggravare la stabilità di una zona di interesse strategico per l’Italia e l’Occidente in senso più lato.