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Terre rare, una sfida geopolitica per il decennio

La pandemia da Covid-19 ha rimarcato la forte dipendenza di Stati Uniti ed Unione europea dalla Cina per i metalli rari: sono in gioco l’autonomia strategica e i piani di sviluppo green-tech. Nella nuova geografia della globalizzazione, le strategie di diversificazione e mitigazione dei rischi saranno essenziali. Così come le capacità industriali nella produzione di tecnologie cruciali. Ecco un resoconto delle iniziative del 2020

Nel nuovo scenario di competizione geopolitica e per la leadership tecnologica, al pari degli obiettivi di neutralità climatica, le maggiori potenze del pianeta sono trascinate sempre più in una corsa ai metalli rari essenziali per l’industria elettronica e per lo sviluppo delle tecnologie rinnovabili. Cobalto, litio, grafite, nickel, niobio, gallio, germanio, vanadio, indio. Una lunga lista di metalli e minerali necessari per il perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile e digitale, la cui fornitura dovrà rispondere ad una domanda mondiale destinata ad esplodere, secondo le proiezioni della World Bank e dell’International Energy Agency.

Trasformazioni, quella energetica e digitale, il cui costo in termini ‘materiali’ potrà essere ancor più sfidante delle rivoluzioni industriali del passato. “Le tecnologie concepite per sostanziare la svolta dell’energia pulita” scriveva nel suo rapporto la Banca Mondiale nel 2017, “sono infatti molto più material intensive nella loro composizione rispetto ai sistemi di rifornimento energetico basati sui combustibili fossili”. Le stime sull’utilizzo di questi materiali per la realizzazione dei prodotti per la nostra attuale e futura dieta tecnologica — l’elettronica, la robotica, le Ict e in generale l’Internet of Things — sono altrettanto consistenti, seppur più difficili da prevedere. I giacimenti di questi metalli e minerali sono concentrati principalmente in Cina (41%) e in Africa (30%) secondo i recenti calcoli della Commissione europea. Dunque, l’accesso a questi depositi e la competizione industriale high-tech per trasformarli in valore aggiunto sarà anche una questione geopolitica. Soprattutto per una famiglia dei metalli rari: i cosiddetti rare earth elements (Ree).

La questione delle terre rare, estratte, separate e processate in metalli e leghe principalmente dalla Cina, è tornata con grande rilevanza. Il Covid-19 ha giocato certamente un ruolo nell’evidenziare la strozzatura esistente lungo questa supply chain, destinata a restringersi per due ordini di motivi: da una parte agiranno spinte di mercato che riguarderanno le applicazioni green-tech più rilevanti per i piani industriali adottati dalle nazioni sviluppate; dall’altra, già assistiamo — come esacerbato dalla pandemia — a un mutato approccio verso la globalizzazione e, nello specifico, al nuovo ruolo che la Cina vorrà assumere nel sistema economico globale: da fabbrica a piattaforma tecnologica. Il che si tradurrà in maggiore consumo delle sue riserve domestiche e un progressivo consolidamento dei settori downstream. Alcuni di questi elementi, come neodimio, disprosio e praseodimio (cruciali per motori elettrici, turbine eoliche e i sistemi d’armamento) vedranno aumentare la domanda tra il 1000 e il 4000% nel prossimo decennio, con un’offerta per ora concentrata in Cina lungo tutti gli stadi della catena del valore.

GLI USA E IL DECOUPLING TECNOLOGICO

Impegnati in una guerra prima commerciale, poi tecnologica, con la Repubblica popolare cinese, gli Stati Uniti hanno ripreso in mano il dossier delle terre rare attraverso la lente della sicurezza nazionale. Nel luglio del 2019, poco dopo che il presidente cinese Xi Jinping minacciò velatamente di utilizzare le terre rare come carta geopolitica nella disputa sui semiconduttori e su Huawei, l’omologo statunitense Donald Trump aveva dichiarato i derivati delle Ree come “essenziali per la difesa nazionale”, dal momento che trovano notevoli applicazioni nell’industria militare. In seguito alla pubblicazione di rapporti sui metalli strategici da parte delle agenzie federali che hanno rimarcato la vulnerabilità della base industriale americana, il Congresso, in uno sforzo bipartisan, ha avviato una serie di iniziative per promuovere il reshoring delle attività produttive — dalle miniere ai magneti, come testimonia il caso dell’azienda californiana MP Materials, finanziata dal Pentagono, e l’accordo tra quest’ultimo e la compagnia australiana Lynas Corporation per l’apertura di un sito di processazione in Texas. Gli Stati Uniti, a differenza dell’Unione europea, possiedono attualmente riserve di terre rare sfruttabili a livello economico, essendone stati fino agli anni Novanta i principali produttori. A fine settembre, il presidente Trump ha dichiarato l’emergenza nazionali per i metalli rari, avvalendosi del Defense Production Act: una mossa che ha confermato le preoccupazioni dell’establishment americano rispetto alla dipendenza dalla Cina. Infine, le proposte confluite nell’Onshoring Rare Earths Act presentato dal senatore repubblica del Texas Ted Cruz lo scorso maggio e nel RE-Coop 21st Century Manufacturing Act hanno trovato un parziale riscontro nel Climate Plan presentato dalla prossima amministrazione guidata da Joe Biden: il piano, da circa 2.3 trilioni di dollari ed approvato da Camera e Senato il 21 dicembre, prevede anche fondi e investimenti nella R&D per quanto riguarda le terre rare. Tuttavia, come nota Pini Althaus, amministratore delegato dell’azienda texana USA Rare Earth, il piano che vuole supportare “un’energia pulita al 100% entro il 2050, incluso un forte impulso alla produzione domestica di veicoli elettrici” è al momento “fortemente dipendente dal settore industriale cinese per i metalli tecnologici”. Il che è “alquanto controproducente”, considerando l’impatto ambientale dell’industria delle terre rare oltre che una vulnerabilità che la Cina potrà sfruttare per “ottenere un vantaggio sui produttori tecnologici mondiali” attraverso l’implementazione del piano Made in China 2025, la Belt / Road Initiative e l’Export Control Law, entrata in vigore il primo dicembre. “Gli Stati Uniti e le altre nazioni sviluppate”, conclude, “sono decenni e miliardi di dollari dietro la Cina nello sviluppo delle supply chain mine-to-magnet”. Ecco perché l’Occidente “deve spezzare la dipendenza dalla Cina il prima possibile”.

L’UE E L’AUTONOMIA STRATEGICA

Il Covid-19 ha mostrato questa dura realtà anche a Bruxelles. L’Unione europea è fortemente dipendente lungo tutta la catena del valore, dalle materie prime ai prodotti finiti. Una situazione che sembra stridere con i tre pilastri della strategia industriale europea 2019-2024: la transizione verde, quella digitale e la competitività globale. Ecco perché il raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica e di sovranità tecnologica sarà inestricabilmente legato alla capacità europea di assicurarsi una supply chain dei 30 critical raw materials recentemente individuati dalla Commissione europea, lista aggiornata costantemente dal 2008 quando fu stabilita la Raw Material Initiative. Tra di essi, le terre rare scontano il grado di criticità più elevata per importanza economica e rischio lungo la supply chain. La Rmi puntava a perseguire tre obiettivi: fornitura sostenibile dentro e fuori il mercato unico dei materiali rarai e promozione dell’economia circolare per fonti secondarie grazie ai fondi dell’European Innovation Partnership (Eip). Il 2020 ha registrato alcuni passi avanti. L’ultima lista ha introdotto un piano d’azione per assicurare la diversificazione, gli investimenti per i giacimenti interni e la promozione della circolarità industriale. Tra questi, l’ufficializzazione dell’European Raw Materials Alliance lo scorso settembre, un’iniziativa che raccoglie gli stakeholder — attori privati, enti governativi e centri di ricerca — del settore. L’Alleanza è guidata da un solido gruppo industriale per concentrare l’attenzione sui due aree tecnologiche prioritarie e strategiche: i magneti di terre rare e i motori elettrici, oltre all’industria delle batterie attraverso l’European Battery Alliance. Per sviluppare capacità industriali downstream, l’Unione europea investirà attraverso la piattaforma di R&D Horizon Europe, in corso di approvazione al Consiglio e al Parlamento, le risorse necessarie per formare il capitale umano e promuovere best-practice tra gli attori coinvolti e standard di sostenibilità. Strumenti legislativi come il Due Diligence Framework for conflict minerals (in vigore a partire dal primo gennaio 2021) e il Re-Sourcing Project di Horizon 2020 avranno l’obiettivo di assicurare un rifornimento sostenibile incentivando gli attori coinvolti, la società civile e i policymaker. Infine, sotto gli auspici dell’European Institute of Innovation and Technology (Eit) Raw Materials — piattaforma d’investimento che finanzia le attività dell’Erma — verranno promossi programmi di ricerca e sviluppo nell’ambito dei materiali strategici, con l’obiettivo di fare passi avanti nell’economia circolare e nell’innovazione per quanto riguarda le fonti primarie e secondarie (il cosiddetto urban mining).

UN FRONTE COMUNE NECESSARIO…

La sfida dei metalli rari sarà dunque molteplice: creare supply chain upstream alternative; investire nei settori downstream (magneti, batterie, semiconduttori) per catturare il valore aggiunto di questi materiali; aumentare la spesa in R&D e in formazione per investire sul capitale umano, soprattutto nel campo delle scienze dei materiali e nel settore minerario; incentivare lo sviluppo dell’economia circolare e un nuovo paradigma di produzione e consumo (la regola delle 3R: reuse, reduce, recycle); e stabilire standard ambientali. La pandemia ha rivelato come considerazioni di natura geopolitica abbiano accelerato l’adozione di piani industriali e strategie volte a mitigare, se non rimuovere, i rischi lungo questa supply chain strategica. Una necessità che ora accumuna tanto gli Stati Uniti quanto l’Unione europea, impegnati nel corso del 2020 a dare sostanza ai loro piani di sovranità e autonomia tecno-industriale, a partire proprio dalla dipendenza dalle terre rare, e a una serie di partnership multilaterali che dovrebbero costituire un primo passo per una collaborazione congiunta in un settore sempre più strategico e cruciale per i piani industriali green-tech occidentali. Nel caso delle terre rare, quest’urgenza si fa sempre più consistente. “Senza una fornitura sufficiente di metalli magnetici” ha dichiarato Oliver Gutfleisch, professore di Functional Materials presso la Technical University di Darmstadt, “la protezione dal clima sarà molto più difficile, protratta e costosa. La transizione energetica è anche una transizione di materiali: non potrà avvenire senza quest’ultimi. Un fatto troppo spesso sottovalutato”.

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