Salvate il soldato Putin: lo zar si è messo in un vicolo cieco e non sa come uscirne. Irricevibili le richieste sulla Nato, ma forse si può concedere un onore alle armi per chiudere la partita. Prima che sfugga fuori mano. L’analisi del generale Carlo Jean
La situazione sul fronte ucraino è di stallo. Dopo qualche segnale distensivo da parte del ministro degli esteri russo Sergei Lavrov – che aveva annunciato la disponibilità al negoziato e l’inizio del ritiro progressivo delle forze russe affluite sul confine ucraino – la situazione è tornata quella di prima. Gli Usa e la Nato sostengono che le forze russe, anziché ritirarsi, si stanno rafforzando.
I separatisti filorussi del Donbas e l’esercito ucraino si stanno scambiando cannonate. Lavrov ha ripetuto senza modifiche le richieste russe di ritiro delle forze Nato dall’Europa orientale e baltica, nonché del divieto formale definitivo dell’entrata dell’Ucraina nella Nato.
Insomma, continua imperterrito il “balletto” della diplomazia armata e della minaccia di un attacco all’Ucraina. Un’aggressione massiccia resta improbabile, come è sempre stato. Anche senza tener conto delle pesanti sanzioni occidentali, comporterebbe perdite e costi inaccettabili per Mosca.
Un attacco limitato nel Donbas, a sostegno dei secessionisti filorussi, e forse un raid su Kiev od Odessa, unito a un’offensiva terroristica e cibernetica, restano possibili. Lo restano anche l’annessione del Donbas alla Russia e il tentativo di far cadere il governo Zelensky con un attacco limitato. Esso però non sarebbe risolutivo. Accelererebbe la corsa dell’Ucraina verso l’Occidente e il rischio che l’europeizzazione dell’Ucraina comporti una “rivoluzione colorata” o rafforzi la dissidenza in Russia. Sarebbe comunque costoso per le sanzioni occidentali a Mosca.
Usa e Nato, si sono dichiarati disponibili a negoziati per aggiornare, d’intesa con Mosca, l’architettura di sicurezza in Europa. Essa è basata su accordi di controllo degli armamenti e su misure di sicurezza, fiducia e trasparenza decaduti o invalidati dai mutamenti della situazione geopolitica e dalle nuove tecnologie militari,
La chiusura della “porta aperta” dell’entrata dell’Ucraina nella Nato, l’autonomia delle regioni secessioniste del Donbas – previsto dall’accordo “Minsk II” – e la fine del riarmo di Kiev da parte dell’Occidente non costituiscono i punti centrali delle richieste di Mosca. Essi consistono invece nel ritiro delle forze Nato dall’Europa Orientale e Baltica, cioè nell’accettazione da parte dell’Occidente dell’interpretazione russa della “Nato Russia Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security” del maggio 1997.
Si tratterebbe, in pratica, dell’annullamento degli esiti della guerra fredda e del riconoscimento dei diritti del Cremlino sull’intero spazio ex-sovietico. Anche Putin sa che sono impossibili. Le sue sono, sostanzialmente, provocazioni a cui Usa e Nato hanno risposto proponendo la ripresa dei negoziati sull’Arms Control sia sull’Ucraina che sul sistema di sicurezza in Europa.
Per quanto riguarda l’Ucraina, è in corso – e in pratica bloccato – l’accordo “Minsk II” del 2015. Esso prevede l’autonomia del Lugansk e del Donetsk. L’autonomia secondo Mosca, è del tutto diversa da quella sostenuta da Kiev – che sostiene che debba essere solo amministrativa. Il Cremlino pretende che debba essere garantita bilateralmente – dall’Ucraina e dalla Russia (come quella dell’Alto Adige lo è dall’Italia e dall’Austria) – e, soprattutto, prevedere un potere di veto delle province secessioniste sui trattati internazionali di Kiev. Per gli Usa e la Nato la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina non sono negoziabili.
La geografia permette alla Russia di minacciare un attacco all’Ucraina con brevissimi tempi di preavviso. E’ un fatto che non si può modificare. Ma non si può neppure vivere con la “spada di Damocle” di nuovi ricatti, pressioni e destabilizzazioni da parte di Mosca. Per questo, per l’Occidente, il “caso Ucraina/Donbas” va risolto definitivamente.
Può esserlo solo nel quadro di una nuova architettura di sicurezza in Europa e, soprattutto, con un’umiliazione di Mosca, per renderne difficili nuovi ricatti. A parer mio, sarà difficile un accordo. E’ probabile che in Ucraina si determini un “conflitto congelato”, come quello in Georgia. Esso continuerà a rendere instabili la sicurezza europea e i rapporti con la Russia.
Per lo schieramento Nato nei Paesi dell’Europa orientale e baltica entrati nell’Alleanza dopo il 1997, le cose sono ancora più complesse. Il “NATO-Russia Founding Act” va aggiornato. Non può essere stravolto, facendo finta che la guerra fredda non si sia conclusa con la sconfitta di Mosca, ma con un’intesa paritaria.
Di fatto, l’entrata della Nato dell’Europa orientale e baltica non può essere annullata. Il sistema di verifiche che l’Atto prevede continua a funzionare. La Nato ispeziona gli Iskander russi di Kaliningrad. La Russia i missili antimissili Usa in Polonia e Romania. Le forze Nato non sono schierate nell’Intermarium ponto-baltico permanentemente, ma a rotazione. Nei nuovi membri della Nato non sono schierate armi nucleari. A parte i negoziati per il rinnovo del New Start di Ginevra, relativi ai sistemi nucleari strategici russi e americani, il Founding Act è uno dei pochi accordi sopravvissuti ai disastri del controllo degli armamenti verificatosi nel XXI secolo.
Evidentemente, le richieste di Putin sono inaccettabili. A parte i loro toni ultimativi e il ricatto dello schieramento di truppe ai confini ucraini, si riconoscerebbe al Cremlino un diritto di veto sulla politica estera di molti Stati Nato e Ue e la loro sovranità limitata. Verrebbero traditi.
Putin non ha poi offerto nulla in cambio. Potrebbe essere solo il sostegno all’Occidente nel suo confronto con la Cina. Ma la Russia non è in grado di prendere tale impegno.
Era inevitabile una reazione negativa dell’Occidente: più contenuta da parte europea, più radicale da parte USA. Con grande sorpresa di tutti, Nato e Ue non hanno litigato, ma hanno dimostrato fermezza e unità (almeno per ora). Al “povero” Biden, dopo tanti flop e umiliazioni, non è sembrato vero di poter sfruttare l’impasse in cui si è ficcato Putin, per umiliarlo, facendolo apparire perdente nell’avventura Ucraina. Anche la Cina l’ha lasciato a cavarsela da solo. Quella di Pechino è una politica tutta da approfondire. Ha certamente giocato, come sostiene il prof. Sisci, il suo utilizzo in Ucraina di ben 40.000 kmq di terreno agricolo coltivato a grano. Hanno anche giocato i suoi legami con l’Europa orientale e baltica (accordo “17+1”).
L’Occidente non ha rifiutato il negoziato. Insieme al ramoscello di ulivo ha affilato le sue armi. Se Putin ha schierato i carri armati, l’Occidente ha predisposto un sistema di sanzioni particolarmente pesante. Anche in Europa non si sono levate voci discordi, pur dovendone pagare il prezzo, e pur sapendo che la resilienza russa a sanzioni finanziarie è maggiore della propria al mancato rifornimento del gas. Putin si è infatti preparato. Ha aumentato le riserve russe a 600 mld di $ e il fondo nazionale di ricchezza da 80 a 200 mld $.
Quello che ha certamente sorpreso Putin sono state l’unità e la fermezza dell’Occidente. Per questo è incerto su che fare. Deve guadagnare tempo, forse nella speranza che l’unità occidentale si eroda e che possa ritirarsi “salvando la faccia”.
Ma il problema del nuovo sistema di sicurezza europeo rimane. Gli accordi su cui era basato sono decaduti o sono divenuti inattuali, dati i mutamenti di situazione, non solo geopolitici, ma anche tecnico-militari. Per questi ultimi vanno ricordati: la comparsa di armi iper-veloci; la diffusione di drones armati; la rilevanza assunta dai cyber-attacchi e dalle compagnie militari private; la pervasività dei nuovi media e la crescente possibilità di radicalizzazione delle masse; ecc.
I grandi accordi sulla limitazione e controllo degli armamenti e sulla sicurezza cooperativa, su cui si basava l’architettura europea di sicurezza (ABM del 1974; Helsinki del 1975; IBM del 1987; CFE del 1990; Documento di Vienna del 1990; Open Skies del 1992; a cui vanno aggiunti l’Atto di Budapest del 1994, che prevedeva la cessione alla Russia delle armi nucleari esistenti in Ucraina contro l’impegno di Mosca al rispetto dell’integrità territoriale del paese, e l’accordo “Minsk II”) sono decaduti o fortemente “ammaccati”.
L’unica soluzione per uscire dallo stallo è quella di un negoziato del tipo “Helsinki 2.0”, come recentemente proposto su Foreign Affairs da Michel McFaul, già ambasciatore di Barack Obama a Mosca. Il suo inizio consentirebbe forse di congelare la questione ucraina. Draghi potrebbe allora organizzare l’incontro fra Putin e Zelensky. Non risolverebbe nulla, ma consentirebbe di suonare le trombe della pace ritrovata. Meglio che niente.
Gli Usa dovrebbero rinunciare a umiliare Putin, anche per non rischiare un suo “colpo di coda” alla disperata, non solo in Ucraina, ma anche con lo schieramento a Kaliningrad o in Bielorussia delle sue nuove potenti armi, dai missili iper-veloci ai cruise a gittata intermedia 9M729. Insomma, dovrebbe concedere a Putin “l’onore delle armi”, accontentandosi del successo sinora conseguito. La Nato, con grande sorpresa di tutti, si è risvegliata, anziché collassare. Addirittura Svezia e Finlandia parlano di aderire all’Alleanza. La seconda ha deciso di comprare gli F-35. Nell’Ucraina il presidente Zelensky si è rafforzato. Anche Francia e Germania si sono allineate con l’ortodossia atlantica.
Tutti sono felici. Gli applausi tributati all’affermazione di Olaf Scholz nella sua recente visita a Kiev e a Mosca che l’annessione dell’Ucraina alla Nato non è in agenda ne sono una dimostrazione. Sono stati una brillante “trovata”, anche se per molti versi comica. È stata come se avesse detto che la neve è bianca. Nessuno infatti pensa che Kiev possa divenire membro della Nato. Gli applausi da “coro greco” che ha ricevuto, mascherano il sollievo d’aver trovato una via d’uscita.
Chi ha tirato un respiro di sollievo è stata soprattutto l’Ucraina. Era il “vaso di coccio” fra due di ferro. Temeva di essere sacrificata agli interessi dell’Occidente. La difesa dell’integrità territoriale e della sovranità ucraine sono per esso problemi di principio, quindi sacrificabili, come sempre accade nella storia, a interessi più concreti, quali il contrasto fra il continuare a ricevere il gas russo o l’appeasement con una Russiaper averla alleata contro la Cina, come aveva proposto Macron nel 2019. Forse Putin si accontenta ormai di un mezzo “onore delle armi”. Cerca di guadagnare tempo. Forse è il tempo di dargli qualche soddisfazione formale e chiuderla lì.