Cinque anni fa la Lega firmava un gemellaggio con il partito personale di Vladimir Putin Russia Unita, che è ancora attivo. Alla luce dell’invasione russa in Ucraina, quel foglio rischia di far finire in fuorigioco con la Storia un partito-chiave del sistema politico italiano. Un consiglio a Salvini
Legati, per quanto? L’invasione dell’esercito russo in Ucraina con l’occupazione manu militari delle autoproclamate repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk riaccende i riflettori su una annosa questione della politica italiana. E cioè sull’accordo ufficiale, nero su bianco, che gemella la Lega, partito-chiave del governo Draghi con una importante storia istituzionale, al partito personale di Vladimir Putin Russia Unita.
Alla luce di una nuova, eclatante violazione del diritto internazionale da parte del Cremlino, e all’indomani di un discorso revisionista di Putin sul ritorno dell’Unione Sovietica che sarà consegnato ai libri di storia, è lecito chiedersi se e come quel memorandum sia compatibile con un partito pienamente inserito nell’arco costituzionale italiano.
Andiamo con ordine. Era il 6 marzo del 2017 quando, a un anno dalle elezioni politiche, il segretario Matteo Salvini in visita a Mosca siglava l’intesa tra i due partiti, della durata di cinque anni. Presente per la controparte russa il vicesegretario generale del Consiglio per le relazioni internazionali Sergei Zhelezniak. A favorire l’incontro fu allora Gianluca Savoini, faccendiere del Carroccio diventato poi protagonista nella vicenda (anche giudiziaria) dell’Hotel Metropol. Il documento, rivelato nel libro “Da Pontida a Mosca. Gli accordi fra Putin e la Lega Nord” scritto da Fabio Sapettini e Andrea Tabacchini (ed. Samovar), non si limita alla collaborazione politica ma auspica un “partenariato paritario e confidenziale tra la Federazione Russa e la Repubblica italiana”.
All’articolo 1 il passaggio più delicato: “Le parti si consulteranno e si scambieranno informazioni su temi di attualità della situazione nella Federazione Russa e nella Repubblica Italiana, sulle relazioni bilaterali e internazionali, sullo scambio di esperienze nella sfera della struttura del partito, del lavoro organizzato, delle politiche per i giovani, dello sviluppo economico, così come in altri campi di interesse reciproco”.
Quando quattro anni fa Salvini, forte dell’incasso alle urne, ha mosso un passo verso Palazzo Chigi insieme al Movimento Cinque Stelle, più di una voce dal mondo dell’intelligence ha espresso preoccupazione per “lo scambio informativo” in corso d’opera tra la Lega e il partito del presidente russo. Si arrivò perfino a mettere in dubbio l’opportunità di concedere il Nos – Nulla Osta di Sicurezza – a un ministro dell’Interno a capo di una forza politica legata a tal punto con il partito-governo russo.
Quattro anni dopo ne è passata di acqua sotto i ponti. La Lega può rivendicare un importante processo di evoluzione e la politica estera non fa eccezione. A Bruxelles la pattuglia leghista guidata da Marco Zanni esprime solidarietà per il dissidente russo incarcerato Alexei Navalny e a Roma i parlamentari si mostrano compatti con la maggioranza sulla crisi ucraina.
A Mosca, invece, di acqua ne è passata ben poca. Putin sostiene ancora, come nel 2017, che l’Ucraina non abbia diritto alla sovranità. E Zhelezniak, grande officiante russo dell’intesa leghista, è ancora sotto sanzioni di Ue e Usa, come nel 2017, con l’accusa di aver avuto parte in causa nell’occupazione armata della Crimea del 2014 e di aver “sostenuto attivamente l’uso delle Forze armate russe in Ucraina”.
Il punto qui è anzitutto politico. Mentre i carri armati russi sfilano a Donetsk e Luhansk e un’armata di 190mila soldati minaccia di invadere l’Ucraina su ordine di Putin, quell’intesa siglata con il partito-personale dello “zar” – rinforzata da un gemellaggio a fine 2018 tra i rispettivi movimenti giovanili – inizia a diventare ingombrante.
Manca poco più di due settimane all’eventuale rinnovo dell’accordo. Non è così poco, considerando gli eventi di queste ore. Dopo un iniziale silenzio Salvini ha scelto la linea della prudenza. Certo, dice di “non approvare un’invasione in casa altrui” ma sostiene ancora, come fa da tempo, che le sanzioni “sono l’ultima delle soluzioni possibili”.
Un partito e il suo segretario hanno tutto il diritto di scegliere la linea politica. Così come di ricordare i costi economici che uno strappo con Mosca avrebbe per l’Italia, soprattutto nel settore energetico. Qui però c’è in ballo qualcosa di più sottile delle forniture di gas. Un gemellaggio politico con il partito di Putin che in queste ore rischia di far finire la Lega in fuorigioco con la storia. Verba volant, scripta manent. Salvini se la caverà lasciando scadere l’accordo in silenzio, o sceglierà la strada del leader prendendo una posizione netta?