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Libia, luci e ombre del nuovo governo secondo Mezran

Ci sono due modi per leggere la situazione in Libia: il nuovo governo può dare una spinta alla stabilizzazione, ma può anche creare presupposti rischiosi, spiega Karim Mezran (Atlantic Council). Che teme sempre il rischio delle armi

Il primo riflesso della nomina del nuovo governo in Libia, che la Camera dei Deputati ha affidato a Fathi Bashagha, è stata una mobilitazione di milizie. Quelle fedeli al premier uscente Abdelhamid Dabaiba si sono messe a difesa del palazzo del governo, guidate da Salah Badi, miliziano opportunista che spesso cambia casacca (a secondo dei suoi interessi). Poi si sono mosse verso la capitale le unità più fedeli a Bashaga, ex ministro degli Interni del governo di accordo nazionale (Gna) onusiano e con molte articolazioni all’interno della Tripolitania.

L’equilibrio è delicato, Dabaiba e Bashagha sono entrambi di Misurata, così come lo è Ahmed Maiteeg, ex vicepresidente del Gna e mediatore dietro alla costruzione del dialogo tra Cirenaica e Tripolitania, avviato già nella fase di deconflicting dell’autunno 2020 e proseguito in questo momento. Tant’è che il capo miliziano di Bengasi Khalifa Haftar è parte del percorso, e dovrebbe diventare parte della condivisione del potere, come spiega Karim Mezran, direttore della della North Africa Initiative al Rafik Center dell’Atlantic Council.

“Ci sono due modi per leggere la situazione: da una parte possiamo pensare che l’eliminazione di Dabaiba e il suo governo è un fattore positivo perché con lui erano cresciuti i livelli di corruzione, altissimi anche per gli standard non certo integerrimi libici. Ora il nuovo esecutivo è fatto da personalità politiche valide e si creeranno contrappesi con Haftar e Agila Saleh (il presidente del Parlamento, ndr) per integrare entrambi, e i loro uomini, in ministeri importanti”.

Domenica, tra i movimenti dei miliziani, l’Alto Consiglio di Stato (una sorta di Senato libico guidato da Khaled Mishri) ha confermato il suo sostegno alla designazione di Bashagha. Mentre nello stesso giorno la rappresentante per la Libia del segretario generale delle Nazioni Unite, Stephanie Williams, ha incontrato sia Bashagha che Dabaiba. L’obiettivo è evitare disordini, detto in maniera meno edulcorata: l’apertura di azioni armate.

L’Onu non ha subito accettato la volontà del Parlamento di affidare la fiducia a un nuovo governo, ma la Williams ha specificato che “il processo politico in Libia è orientato dai libici ed è controllato dai libici; mentre noi continuiamo a ricordare che 2,8 milioni di libici si sono registrati e hanno intenzione di andare a votare”. Il governo Baashaga ha il compito di portare il paese al voto entro 14 mesi, dopo che le elezioni presidenziali e parlamentari fissate dall’Onu per il 24 dicembre sono state rinviate di un mese e poi saltate di nuovo.

“C’è però una forma anche pessimista di guardare alle cose”, spiega Mezran. “Quello che ci troviamo davanti rischia di essere il modo con cui Haftar e Saleh entreranno a Tripoli, con cui metteranno le mani sull’esercito e da lì in poi conquisteranno il Paese. Ossia, tutto dipende dalle ambizioni di queste due figure centrali dell’Est, con il rischio maggiore in capo a Haftar, alla possibilità che possa in qualche modo mettere le mani sull’esercito e da lì muovere un colpo di stato. Non ci sarebbe da stupirsi”.

Per l’esperto dell’Atlantic Council un altro elemento delicato riguarda gli equilibri a Misurata, città-stato che ha sempre difeso sia politicamente che militarmente i vari governi onusiani: “Bashagha contro Dabaiba potrebbe dividere Misurata”, dice, e qui altre figure sono chiamate a tenere le questioni in equilibrio. “Equilibrio che è precario, perché adesso tutti sembrano interessati a un deal, a un qualche genere di accordo interno che possa garantire tutti, anche Dabaiba che con l’esperienza al governo si è creato una cerchia più forte”, spiega Mezran.

Ma poi? “Attorno a queste due vie, una pessimista e una ottimista di leggere la situazione – risponde – si snodano le dinamiche esterne alla Libia. Molto dipende da Turchia, Russia ed Egitto, che sono le forze straniere che hanno uomini sul terreno. Un elemento che conta, perché poi al di là dei colloqui politici e diplomatici sono quelle con cui devi fare i conti: una volta una figura molto influente in Libia mi disse che nel suo Paese comanda chi ha la pistola più lunga. Avranno interesse a misurare la lunghezza della loro pistola, oppure a partecipare al sistema di pesi e contrappesi per garantire una stabilizzazione?”.

(Foto: account Twitter @fathi_bashagha)

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