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L’Italia, l’Ucraina e le velleità dei pontieri. Parla Alfieri (Pd)

Intervista al senatore del Pd in Commissione Esteri. Draghi a Mosca? Utile se mostra compattezza del fronte europeo, la Nato ha già passato il test (altro che morte cerebrale). Perfino la Lega ha lasciato i flirt. Gas? Menomale che abbiamo fatto il Tap

Serrare i ranghi. Alessandro Alfieri, senatore del Partito democratico in Commissione Esteri, è fiducioso. Nelle ore più buie della crisi ucraina l’Italia di Mario Draghi può ancora fare la sua parte.

Alfieri, il premier Mario Draghi ha annunciato una visita a Mosca nei prossimi giorni. È utile andare al Cremlino mentre incombe una guerra?

È utile per un motivo: dare un segnale di compattezza insieme a francesi e tedeschi. Scholz, Macron, Draghi, i tre presidenti dei principali Paesi dell’Unione europea possono farsi portavoce della vera emergenza messa a nudo dalla crisi: una politica estera e di sicurezza comune.

Ci spieghi.

Non si può solo andare a rimorchio dell’alleato americano. L’Europa a più velocità trova nell’escalation ucraina un importante banco di prova. Ora spetta ai “pionieri”, Italia inclusa, superarla. Quanto all’Ucraina, vedo due direzioni: dialogo ma anche deterrenza, con le sanzioni economiche e con il rafforzamento dei dispositivi della Nato.

Il premier ha sottolineato un possibile effetto boomerang delle sanzioni contro Mosca. Le preoccupazioni non rischiano di incrinare la compattezza del fronte europeo?

Credo invece che sulle sanzioni in Europa ci sia oggi un consenso senza precedenti. L’Italia in questi anni ha già espresso dubbi sul rinnovo automatico delle misure contro Mosca. Ma alla fine dei conti, a prescindere dal governo in carica, ha sempre tenuto il punto a Bruxelles votando i pacchetti insieme a tutti gli altri Stati membri.

Sul gas le preoccupazioni sono fondate?

Le rispondo con una battuta semiseria: menomale che abbiamo fatto il Tap. Oggi si vede quanto fu giusta quella decisione, purtroppo duramente contrastata in Parlamento. Siamo un po’ meno vulnerabili, il collegamento con le riserve dell’Azerbaijan è un primo passo verso la diversificazione. Un processo di grande valore strategico.

Fra i partiti questa volta c’è una linea comune sulla Russia? 

Devo dire di sì, non era scontato. Anche la Lega, che ha dato prova di un innamoramento verso quel tipo di leadership, nelle dichiarazioni e votazioni parlamentari ha mostrato unità. Un’altra dimostrazione, nel suo piccolo, della compattezza occidentale.

Putin ha commesso un errore di calcolo?

Putin voleva dividere il fronte occidentale, lo ha ricompattato. Qui la differenza tra l’era Trump e l’era Biden si fa sentire. Sembrano più lontani i tempi della Brexit, dell’involuzione di Erdogan, della “morte celebrale” della Nato prevista da Macron.

Merito di Biden dunque?

Chiariamo: Biden non ha invertito il corso della politica estera americana. La Cina e l’Indo-Pacifico ad esempio rimangono la priorità. Ma ha investito di più nel multilateralismo e in questa occasione ha saputo trovare una compattezza della Nato che supera i distinguo e le remore dei singoli Stati.

Torniamo all’Italia. Ha senso proporsi come pontieri?

Diciamo la verità, in questa partita ci sono solo due giocatori: il fronte occidentale guidato dagli Stati Uniti da una parte e la Russia dall’altra. Putin sta usando la crisi nel Donbas per ridefinire l’architettura di sicurezza europea e costruire un “cuscinetto” in Europa orientale. Ma in fondo vuole parlare con due soli interlocutori: Biden e Xi. Almeno finché non ci sarà un nucleo di Paesi europei che si doterà di una politica estera e di difesa comune.



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