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Deradicalizzazione e contrasto al terrorismo islamico. Due lezioni

Le lezioni di Francesco Conti e Stefano Dambruoso al Master dell’Università della Calabria guidato da Mario Caligiuri, la prima intitolata “Come si deradicalizza in Arabia Saudita e nello Sri Lanka: idee per l’Occidente” e la seconda “Le regole sono fondamentali per contrastare il terrorismo islamico”

Deradicalizzazione e contrasto al terrorismo islamico, due temi di vitale importanza e strettamente legati sono stati al centro di due lezioni tenute rispettivamente da Francesco Conti e Stefano Dambruoso al Master dell’Università della Calabria, la prima intitolata “Come si deradicalizza in Arabia Saudita e nello Sri Lanka: idee per l’Occidente” e la seconda “Le regole sono fondamentali per contrastare il terrorismo islamico”.

DERADICALIZZAZIONE, L’ESEMPIO DELL’ARABIA SAUDITA

“I programmi di deradicalizzazione possono essere diversi nei singoli Stati a seconda della cultura e della religione praticati con un approccio laico. È interessante il progetto di deradicalizzazione dell’Arabia Saudita, riconosciuto dall’Onu nel 2016  come uno dei più efficaci al mondo”, ha detto Francesco Conti, ricercatore e analista, introducendo il suo seminario al Master in Intelligence diretto da Mario Caligiuri. Conti ha proseguito ricordando che “il Mohammed Bin Naif Center fonda il programma di deradicalizzazione su tre pilastri: Il counseling (per il contrasto alle visioni ideologiche e una corretta comprensione del significato teologico del termine Jihad); la riabilitazione (per fornire supporto psicologico, psichiatrico e medico); la cura (per ribadire l’importanza della famiglia, fornendo gli strumenti del reinserimento sociale, economico e lavorativo). A proposito ha evidenziato che la famiglia ha una forte componente tribale, che considera disonorevole che un proprio membro faccia parte di gruppi terroristici come Al Qaeda e Isis. Un’altra accortezza è quella di adottare un linguaggio neutro nell’approccio ai processi di deradicalizzazione.

Conti ha poi rilevato che la radicalizzazione degli attivisti fa leva sulla loro scarsa cultura ed educazione religiosa, oltre che sulle frustrazioni sessuali e sentimentali. Infatti, circa il 70% di chi abbraccia la jihad armata sono celibi. Inoltre, si è constatato che la maggior parte dei terroristi radicalizzati dell’Arabia Saudita provengono in dalla regione di al-Qassim, una delle più povere del Paese. Ha quindi evidenziato che “il Mobaahith al’Amma, ritenuto come l’intelligence, il controspionaggio e l’antiterrorismo saudita, non si limita alla sorveglianza dei sospetti terroristi ma anche al monitoraggio, visibile e invisibile, dei beneficiari che stanno seguendo il percorso di deradicalizzazione perché siano consapevoli di dover continuare a rispettare la legge”.

IL CASO DELLO SRI LANKA

Altro programma di deradicalizzazione internazionale considerato di successo secondo Conti è quello dello Sri Lanka, “dove per 25 anni si è combattuta una guerra che ha causato un numero imprecisato di morti. Le Tigri Talim, unica organizzazione in grado di uccidere due diversi capi di Stato, Ghandi in India e Ranasinghe Premadasa nello Sri Lanka, a differenza di Al Qaeda o dell’Isis, non era un gruppo fondamentalista religioso, ma un gruppo nazionalista e separatista interessato a conquistare parti di territorio”.

Conti ha poi evidenziato differenze e similitudini tra i programmi dell’Arabia Saudita e dello Sri-Lanka. Le differenze riguardano il gran numero di donne e bambini da deradicalizzare nello Sri-lanka, mentre in Arabia Saudita sono molti di meno; il differente peso della religione nei due programmi; il differente status legale dei beneficiari che in Arabia Saudita sono ex-terroristi che hanno già scontato una pena, mentre nello Sri-Lanka sono ex prigionieri di guerra amnistiati. Le similitudini riguardano le terminologie neutre usate nei processi di deradicalizzazione, l’approfondimento orientato sul singolo individuo per il suo sviluppo cognitivo, l’attenzione sulle competenze professionali necessarie alla loro reinserimento.

Il diritto internazionale, ha proseguito Conti, considera diversamente minori, donne e adulti. I minori sono trattati sempre come vittime del terrorismo e non vanno in prigione. Le donne hanno trattamenti diversi a seconda che abbiamo avuto un ruolo passivo, seguendo semplicemente il marito presso lo Stato islamico, o attivo. “Un caso  analogo è quello di Alice Brignoli- ricorda Conti- andata al seguito del marito Foreign Fighter nello Stato islamico portandosi dietro tre figli minori, con un quarto nato in Siria. Rimpatriata nel 2019, poco più di un mese fa è stata condannata in appello a quattro anni di reclusione, mentre, invece, i figli sono adesso in un centro protetto. “Per i maschi adulti – ha evidenziato – il diritto internazionale distingue tra chi ha compiuto la Hijra, la migrazione, prima o dopo l’istituzione dello Stato islamico, considerando trattamenti più gravi per chi l’ha compiuta dopo, in quanto si presume che  abbiano risposto ad una chiamata terroristica”.

COME CONTRASTARE IL TERRORISMO

“Oggi il terrorismo non è percepito come una priorità, ma rimane un grave problema di fondo. Questo dipende dalla natura ciclica dei fenomeni terroristici internazionali e dall’altrettanto ciclica attenzione mediatica”. In questo modo il magistrato Stefano Dambruoso, segretario della Camera dei deputati dal 2013 al 2018, ha avviato la sua lezione al Master in Intelligence. Dambruoso ha proseguito sostenendo che “la data ultima che si può prendere in considerazione è il 2019, cioè la sconfitta dell’Isis e del Califfato, dopo di che sul terrorismo islamico è calata l’attenzione. Nel 2015 c’era stato l’attentato a Parigi e poi altri nelle grandi capitali europee. Una serie di attentati che si è interrotta all’inizio del 2019”.

Il docente ha poi ricordato che “nel 2015, a seguito dell’attentato parigino al Bataclan, dietro sollecitazione del Consiglio di Sicurezza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’Unione Europea ha emanato una direttiva antiterrorismo che comprendeva anche il contrasto al finanziamento. Di conseguenza, anche l’Italia ha modificato il proprio codice penale”. “ Nel nostro Paese – ha precisato – si è trattato di norme che rappresentano un cambio di paradigma, rispetto alla normativa italiana preesistente che aveva consentito di combattere il terrorismo politico. Prima del 2015, erano state sufficienti soltanto alcune piccole modifiche e integrazioni all’impianto normativo, per adeguarlo alle esigenze del contrasto ad al Qaeda.

Dambruoso ha quindi fatto una panoramica sulle primavere arabe, concentrandosi su Egitto, Libia e anche Siria, dove si è registrata la nascita di un vero e proprio stato terroristico. Infatti, il Califfato aveva un governo organizzato, che dominava su un territorio grande due volte e mezzo la Lombardia e che da un lato ha espresso un pensiero musulmano radicale e dall’altro ha svolto un’attività di supporto alle azioni terroristiche internazionali del periodo 2015-2018. “Il Califfato è stato una novità nello scenario geopolitico mondiale con la quale ci si è dovuti confrontare”. “Appunto per questo – ha proseguito – per combattere questo nuovo tipo di terrorismo di matrice internazionale la normativa italiana, che era stata concepita invece per le forme criminali associative interne, era insufficiente. Dopo la sconfitta del Califfato, sono diventati inoltre sempre più preoccupanti le attività terroristiche svolte nel web e il dark web, utilizzate per addestrare, reclutare e finanziarie veri e propri soldati della jihad, capaci di attaccare anche da soli (i cosiddetti “lupi solitari” e i “foreign fighters”) e con  minime disponibilità finanziari (poche migliaia di euro).

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