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Il Mattarella-bis è l’ultima chiamata per una riforma istituzionale

Ben oltre il maquillage che alleggerirà il nuovo Parlamento di un terzo dei suoi componenti, c’è urgenza di una riscrittura dell’ordinamento che ribadisca ruoli e compiti. È difficile credere alla centralità del Parlamento, da tutti invocata dopo l’elezione presidenziale, quando questa è stata accantonata per dieci anni

Il settennato bis di Sergio Mattarella ha aperto una nuova stagione politica in Italia. Non solo per le fibrillazioni devastanti nel M5S e nella ex coalizione di Centro-Destra, cioè nei tre quarti dell’offerta politica rappresentata nell’attuale Parlamento. E non solo per i turbamenti extra-parlamentari cui è sottoposta Italia Viva e quelli che vive più pacatamente il Pd, che ha pur visto (per ora solo a Roma) crearsi un non banale “caso Calenda”.

Con un entusiasmo forse eccessivo qualche commentatore ha dichiarato che il rinnovato ticket MattarellaDraghi alla guida del Paese “ce lo invidiano in tutto il mondo”. Certamente non è lo stesso ticket che si è formato nel febbraio del 2021. A un anno di distanza la prima parte del binomio si è molto più rafforzata, la seconda si è oggettivamente indebolita. Mattarella è stato richiamato a furor di popolo, anzi, a furor di Parlamento, a riprendersi le stanze del Quirinale. Draghi è stato inchiodato a Palazzo Chigi ben oltre il suo auspicio.

Un anno fa il Parlamento era stato per l’ennesima volta esautorato delle sue responsabilità – il Governo Conte 2 non ha mai ricevuto la sfiducia dall’aula – e si è fatto guidare in una crisi extra-parlamentare come in verità già successe durante il settennato (diventato novennato) di Napolitano.

Allora il supertecnico (sempre di un Mario si trattava) Monti capì rapidamente di dover scommettere su una rifondazione politica che non potesse fidarsi dei partiti della sua maggioranza, dandosi nel giro di pochi mesi una prospettiva politica in proprio. Come lui un altro superministro tecnico, Corrado Passera, fu irretito da un futuro politico “personale”. Che fine hanno fatto Scelta Civica e Italia Unica ce lo ricordiamo.

A Draghi toccherà la stessa sorte? Deluso dalla mancata elezione al Colle c’è chi vede un Mario Draghi tentato di rovesciare il tavolo e andarsene, prima di dover vedere i risultati “finali” del suo Governo dei migliori. Nel primo anno ha impostato molto, ma concluso poco. Pensava forse di dover blandire i partiti della sua maggioranza arlecchino, per potersi assicurare il voto dei grandi elettori. E’ andata diversamente. E ora il Governo dovrebbe passare dai piani alle realizzazioni. L’alternativa secca alla voglia di dimissioni – che qualche osservatore ha preconizzato – è la necessità di darsi una “caduta politica”. Un nuovo partito?

Il crollo del bipolarismo, se mai ce ne fosse stato uno compiuto in Italia, e la prospettiva di una riforma elettorale in senso proporzionale potrebbe giustificare la creazione di “una grande alleanza riformista tra chi rappresenta i meriti e chi rappresenta i bisogni” come sogna uno dei veri motori del Governo Draghi, Renato Brunetta. Il ministro dice di essersi emozionato per il discorso del presidente Mattarella, e aggiunge che a suo avviso ha dato nuovo slancio al Governo. “Nelle sue parole – afferma Brunetta – ho ritrovato i miei sogni di vecchio socialista, di uomo di governo, del cittadino Renato”.

Basta l’entusiasmo attivo di Brunetta per traguardare questo anno che ci separa dalle elezioni politiche del 2023, confezionando una nuova proposta politica che non debba dipendere dai partiti che conosciamo oggi? O piuttosto c’è il rischio che questo anno stabilizzi l’immobilismo parlamentare che ha saputo solo rivolgersi al passato per progettare il futuro?

Il nuovo settennato di Mattarella, che segue il prolungamento dell’incarico a Giorgio Napolitano, ha creato una nuova Costituzione di fatto. A prescindere dai dubbi di incostituzionalità del doppio mandato, il Paese ha assunto una prassi che difficilmente potrebbe essere smentita dalla teoria. Ormai nemmeno la Francia che elegge il presidente a suffragio universale, ha un presidente che resta in carica per più di cinque anni (rieleggibile, sì, ma con il voto popolare).

Ben oltre il maquillage che alleggerirà il nuovo Parlamento di un terzo dei suoi componenti, c’è urgenza di una riforma istituzionale, che ribadisca ruoli e compiti. E’ difficile credere alla centralità del Parlamento, da tutti invocata dopo l’elezione del Mattarella-bis, quando questa è stata ripetutamente accantonata negli ultimi dieci anni per volontà dei Presidenti della Repubblica e della maggioranza dei parlamentari; almeno dal 2011 a oggi.

Le riforme istituzionali sono la chiave della ripresa. E l’anno della ripresa non può coincidere solo con l’anno della resilienza.


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