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Il whatever it takes di Mattarella. Parla Formica

Parla l’ex ministro socialista. Mattarella lì per restare, a Draghi e governo un duro monito: prima il Parlamento. Consulta e Quirinale i garanti costituzionali, altro che semipresidenzialismo. E la Giustizia non si può riformare da sola

Dignità. Sergio Mattarella di fronte alle camere unite l’ha ripetuto diciotto volte. Dignità del lavoro, dignità delle istituzioni, dignità dei diritti e dei più deboli, dignità dei giovani. “Chi pensava che fossimo di fronte a un prolungamento del settennato si sbaglia: è un cambio di fase”. Per Rino Formica, ex ministro socialista con una lunga vita istituzionale, il discorso del tredicesimo presidente della Repubblica italiana non è affatto cerimoniale. Lancia piuttosto un monito che non risparmia nessuno, neanche il premier Mario Draghi.

Formica, di quale fase parla?

È un settennato nuovo in tutti i sensi. Mattarella ha fatto un discorso di ampissimo respiro, è riuscito a esprimere le esigenze della società italiana, dalle riforme al rispetto della Costituzione, dall’aiuto dei più deboli allo schieramento internazionale europeo, atlantico, pacifista.

Qual è il file rouge?

La frontiera del progresso, della rivoluzione civile e democratica italiana descritta da Mattarella è all’interno di un affresco che ha un solo colore: quello della dignità. È la bussola che deve guidare l’eliminazione delle diseguaglianze, le ingiustizie della società, il riscatto di una generazione.

Sul Parlamento è arrivato un monito duro.

Riecheggerà a lungo. Il Parlamento è il centro, non il governo, come voleva far credere chi sosteneva l’insostituibilità dell’attuale premier. Mattarella ha ricordato che questo non è il governo di Draghi, è il governo del Parlamento, e che dalla sua fiducia dipende. Non esiste una copertura assicurativa.

Cartellino giallo per il governo?

Serve un cambio di registro. Questo governo, come altri prima, non ha rispettato a sufficienza il Parlamento. Nel superamento di regole e tempi d’esame delle leggi l’emergenza ha avuto la meglio sul gioco democratico.

Un altro cartellino invece per la magistratura.

Un passaggio fondamentale. Mattarella ha acceso i riflettori sul grande male della politicizzazione e partitizzazione delle toghe. E non a caso ha usato una parola chiave.

Quale?

Avvocatura. Ha detto che la riforma deve essere fatta con il contributo della magistratura e dell’avvocatura. Cioè nessuno pensi che possa bastare un’auto-riforma. Poi ha toccato un altro nervo scoperto.

Sarebbe?

Un appello alla gioventù, già accennato nel messaggio di fine anno. La speranza che i giovani possano riappropriarsi della direzione del Paese e se ne assumano la responsabilità. C’è un contenuto politico: urge il ricambio dell’intera classe dirigente della società.

Se fosse Draghi, sarebbe sollevato o no dalle parole del presidente?

Non mi presto al gioco delle parti. Mattarella ha augurato buon lavoro al governo, ma anche ricordato una priorità: è il Parlamento che dà fiducia ai governi, non viceversa. È stato un discorso liberatorio dalle sofferenze e dai vincoli del primo settennato, di una legislatura nata male. Un discorso che esprime a pieno i sentimenti e la storia politica del presidente.

È lo stesso presidente del 2015?

È più vivo, più forte, più determinato ad attuare la Costituzione nei suoi vincoli rigorosi e valoriali. E anche qui c’è un passaggio cruciale. Non è la coppia Mattarella-Draghi, ma l’asse fra la Corte Costituzionale e il Quirinale a garantire gli equilibri costituzionali.

Qualcuno pensava di inviare Mattarella al Colle per una presidenza a tempo. Sarà così?

No, questo discorso è la pietra tombale sul “semipresidenzialismo di fatto”. Chi vuole modificare la Costituzione deve imboccare la strada tormentata e faticosa prevista dalla procedura di revisione. E chi già guardava le lancette per una presidenza a tempo, può anche andare in villeggiatura. Magari all’estero, dove non mancheranno amici ad accoglierlo.



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