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Champagne e figli. Mosca, Kiev e la comunicazione della guerra

A Kiev si cerca di mantenere la calma ma tutti ormai si sentono in guerra. In Russia si cerca di mostrare che la guerra è giusta fingendo si tratti di una missione di pace

“Non spaventatevi”, ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ai suoi cittadini mentre i mezzi militari russi entravano nel Donbas per effetto del riconoscimento del Cremlino alle repubbliche indipendenti che i separatisti russi hanno autoproclamato nel 2015 nelle città di Donetsk e Lugansk, nell’Ucraina orientale. Mosca spiega che si tratta di una missione di peacekeeping conseguente a un accordo di cooperazione subito firmato con i due non-stati: una pacificazione necessaria perché, dice il governo di Mosca, ci sono molti russi (ma sono ucraini d’etnia, lingua, tradizione, simpatia russa) che stanno a contatto con la guerra. Una guerra che sono quegli stessi russi ad aver avviato, scegliendo una separazione violenta sulla scia dell’annessione della Crimea da parte di Mosca;, una guerra fomentata e assistita in tutto e per tutto dalla Russia (dunque con costo economico non indifferente in relazione alle condizioni delle proprie finanze).

L’esercito raccontato come una forza di pace, per aiutare i russi, anche se mentre il presidente Vladimir Putin era in diretta televisiva con trasformando una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale in un reality show, la Difesa russa comunicava di aver ucciso cinque soldati ucraini. Mosca diceva che avevano violato il confine, ma al di là di come realmente siano andate le cose, sfugge che siano stati militari russi i protagonisti della vicenda: non i separatisti del sud, ma forze regolari che in tempo di pace hanno (sotto minaccia, dicono) ucciso soldati di un altro Paese. Se ci si eleva dai comunicati la questione in generale sembra abbastanza seria.

In questa guerra innanzitutto di nervi (l’Ucraina per esempio davanti all’attacco subito non ha reagito, dimostrando controllo e resilienza, o forse disillusione) la comunicazione è un elemento cruciale. Serve a capire le ragioni delle dinamiche sul campo, a dare forma al messaggio e dunque ai desiderata dei veri attori coinvolti. E nelle fasi più critiche della serata del 21 febbraio alcune annotazioni possono essere utili per raccontare meglio ciò che accade.

Per esempio si sta parlando molto del discorso revisionista e revanscista con cui Putin ha annunciato ai russi (per primi, poi al mondo) la decisone di metter fine agli equilibri di sicurezza in Europa per come li conosciamo — questo è lo scacco al re nel Donbas. Anche perché il presidente russo ha infarcito ciò che ha detto della propria narrazione strategica quasi a doverne sottolineare la bontà e arrivando a punte estreme dove criticava il Comunismo (chissà cosa ne avranno dedotto a Pechino, alleato di facciata), passaggi su Lenin, ritocchi a piacimento sul corso della storia (specialità della casa), fino ad arrivare a disconoscere in sostanza l’indipendenza dell’Ucraina in sé (per dire: “L’Ucraina non ha mai avuto una tradizione coerente di nazione indipendente”, ha detto). Poi ha anche parlato di improbabili armi di distruzione di massa (accedendo a quell’insieme di narrazioni che ruotano attorno alla Guerra d’Iraq americana che fino all’altro ieri era il proxy comunicativo del ministero degli Esteri di Mosca per criticare l’Occidente).

Da Kiev esce la linea Zelensky. Se ne è già parlato: un mix di self control (e d’altronde un “moriremo tutti!!” sarebbe stato meglio?) e resilienza, con alzate di voce sulla richiesta di sanzionare la Russia prima che proceda a un’operazione violenta. Una fonte ucraina spiega con sarcasmo che di fatto la violazione di Mosca “sembra non esserci stata, business as usual”, e il riferimento è al fatto che nel Donbas i soldati russi sono presenti da anni, solo in forma clandestina — “se parli con un ucraino non li chiama i filorussi, come fate voi, ma russi, perché quelli che combattono sono soldati o terroristi russi”, spiega. “Il Cremlino non ha riconosciuto l’autoproclamato ‘DPR/LPR’ (Donetsk Popular Republic e Luhansk Populae Repubblic, ndr). Il Cremlino ha riconosciuto la propria aggressione contro l’Ucraina. Rimaniamo fiduciosi e sereni. Siamo pronti e in grado di difendere noi stessi e la nostra sovranità. Il mondo non può tacere. Sanzioni? Another brick in the wall? Nuovo muro di Berlino?”, scrive su Twitter il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov.

Nei gruppi Facebook ucraini ieri circolava un dibattito tra mamme arrivato fino a noi: si parlava di come applicare patch indicanti il gruppo sanguigno sugli abiti dei bambini. Servono chiaramente in caso in cui venissero feriti durante un attacco russo mentre si trovano a scuola o fuori da soli. Perché l’attacco potrebbe arrivare in qualsiasi momento. “Non c’è dubbio che la decisone di Putin sia percepita come una dichiarazione di guerra”, spiega la giornalista e analista ucraina Olga Tokariuk. Poi c’è il riflesso, la reazione alla paura: “Con il suo solo discorso Putin ha consolidato gli ucraini come nessun altro potrebbe fare. I miei amici parlano di unirsi alla difesa territoriale”, ha scritto la reporter ucraina Iryna Matviyishyn, aggiungendo che “attualmente il pazzo del Cremlino è la persona più odiata in Ucraina”.

Contemporaneamente invece sui canali statali russi, un ospite fisso televisivo travestito da analista ma in realtà tra i megafoni della propaganda putiniana, ringraziava la potenza nucleare di cui la Russia può contare per proteggere la decisone del presidente di accettare la richiesta della Duma — che ora ha il compito della legiferazione definitiva — e riconoscere le indipendenze nel Donbas. Una surreale questione di differenti percezioni sul come comunicare in questa situazione drammatica.

La direttrice di RT Margarita Simonyan è stata ospite di diversi programmi televisivi, tra cui “La sera”, dove ha esordito come fosse pronta per una grande festa: “Prima di tutto, non capisco perché non c’è champagne in studio”, ha detto. “Raggiante da un orecchio all’altro”, scrive Julia Davis sul Daily Beast, Simonyan ha descritto la sensazione di “un senso di euforia travolgente” e ha aggiunto: “Ho aspettato 8 anni per questo […] Finalmente è successo. Questa è la vera felicità”. Affermando di parlare a nome del “popolo del Donbas”, Simonyan ha esclamato: “Grazie, Madre Russia!”. Questo atteggiamento serve anche a comunicare sicurezza a quei russi che vedono la guerra ai cugini ucraini con perplessità.

Ancora: irritato per il rifiuto del cancelliere tedesco, Olaf Scholz, di accettare la linea con cui il Cremlino chiama “genocidio” la campagna governativa ucraina nel Donbas, il politologo e professore di comunicazione Dmitry Evstafiev ha detto in Tv che “i cancellieri più decenti della Germania” si sarebbero sparati se fossero stati al suo posto: “Questo è un verdetto per la Germania e la sua candidatura alla leadership europea”. E ancora Simonyan s’è detta “eccitata” da un passaggio del discorso di Putin, quello a proposito della “punizione”. Descrivendo l’Ucraina come “ingrata” per tutti i “doni” e i benefici che avrebbe ricevuto dall’Unione Sovietica e dalla Russia, la direttrice di RT ha affermato: “Sono diventati traditori nei nostri confronti. Stanno cercando di unirsi alla Nato, il nostro nemico”. Poi ha concluso: “E cosa fa la Russia ai traditori? La risposta è ovvia”.



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