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Gli obiettivi imperiali di Putin letti dal generale Camporini

Con la creazione delle due repubbliche vassalle nel Donbass, gli obiettivi di Putin sembrano essersi spostati verso un disegno imperiale zarista. La Nato risponde con fermezza, mentre l’Ue ancora fatica a esprimersi con voce univoca. E l’Italia? L’analisi del generale Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore della Difesa

Con la dichiarazione di lunedì 21, Vladimir Putin ha “tratto il dado” e si è avviato su una strada di cui lui solo conosce l’obiettivo. Io stesso sono rimasto sorpreso, poiché pensavo che il Cremlino avesse l’obiettivo pragmaticamente definito della riacquisizione di una centralità politica, cui Mosca era stata costretta a rinunciare con la sconfitta nella Guerra fredda, unito all’esigenza squisitamente russa di una fascia di garanzia per guadagnare profondità a fronte di un’ipotetica invasione. Evidentemente mi sbagliavo e ci troviamo di fronte a una ferrea volontà di rinnovare un impero, quale era storicamente quello zarista. Possiamo ora solo ipotizzare le mosse future: si accontenterà Putin della creazione di due staterelli vassalli, a protezione delle terre di Rostov e Voronez, o cercherà anche di impadronirsi di una fascia che attraverso Mariupol riunisca fisicamente la Russia alla Crimea? O non vorrà anche, utilizzando tutti i metodi della guerra ibrida, un cambio di regime a Kiev, per installarvi un Vidkun Quisling filorusso?

Un rischio per tutto il Vecchio continente

Sono tutti scenari da guardare con attenzione e preoccupazione, anche da parte di chi non ha a cuore il destino del popolo ucraino, poiché costituiscono l’apertura di un vaso di Pandora da cui possono uscire i geni malefici di conflitti generalizzati. Se non ci si oppone con determinazione alla variazione dei confini con l’uso della forza, sulla base di criteri legati a lingua o etnia, Estonia e Lettonia sarebbero a rischio, in virtù delle non piccole minoranze russofone. Ma anche all’interno della stessa Unione europea, l’Ungheria potrebbe rivendicare parti della Romania, la quale potrebbe pretendere l’annessione della Moldavia. Per non parlare dei Balcani, dove la Macedonia potrebbe essere smembrata tra Albania, Grecia e Serbia e dove la fragilissima architettura istituzionale della Bosnia-Erzegovina si frantumerebbe, con la Repubblica Srpska che punterebbe alla riunificazione con la Serbia e con buona parte della costa Dalmata che potrebbe ambire a una sostanziale autonomia sotto la protezione dei fratelli croati. Si tratta di ipotesi non peregrine e che non si concretizzerebbero in modo pacifico, bensì con un crescendo di violenza generalizzata.

Tutto ciò per sottolineare che quanto sta avvenendo in Ucraina non ci deve lasciare indifferenti e che l’utilizzo di tutti i mezzi non bellici per indurre i governanti di Mosca alla prudenza non solo è giustificato, ma è addirittura doveroso per la salvaguardia della pace in Europa.

La reazione della Nato

La Nato ha già innalzato il livello di prontezza delle forze di cui dispone, forze che sono messe a disposizione dai Paesi membri, che per la parte militare stanno dimostrando un livello di coesione inatteso, soprattutto dopo il disastro afghano. Il messaggio per Putin è chiaro: l’Ucraina non fa parte dell’Alleanza e quindi non gode della protezione collettiva prevista dall’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico, ma altri Paesi che confinano con la Russia, come i Baltici, non verrebbero abbandonati e il potenziale militare russo, pur poderoso, non sarebbe in grado di condurre con successo un’offensiva contro i membri dell’Alleanza. Sono in ogni caso scenari apocalittici, anche a prescindere dalla minaccia dell’uso delle armi nucleari, che avrebbero costi inimmaginabili per tutte le parti in causa, per scongiurare i quali è assolutamente irrinunciabile la dimostrazione di essere pronti.

Manca una voce europea

In questo scenario drammatico, i Paesi europei stanno dando una sorprendente dimostrazione di solidarietà nell’ambito della Nato, che paradossalmente appare più tiepida nel quadro dell’Unione europea. Ove ce ne fosse stata la necessità, questa è l’ennesima dimostrazione dell’esigenza di meccanismi istituzionali Ue efficaci ed efficienti per definire con la necessaria prontezza posizioni dell’Unione a cui tutti gli Stati membri siano strettamente tenuti. Si tratta ovviamente di meccanismi che facciano finalmente giustizia del criterio dell’unanimità, a favore della creazione di maggioranze qualificate, in grado di prendere decisioni operative con la massima prontezza. Se ciò comporta la concretizzazione del concetto di Europa a due o più velocità, questo non ci deve scandalizzare, dal momento che tale concetto ha già trovato soddisfacente realizzazione in campo monetario, con l’Eurogruppo, e in quello della gestione delle frontiere con Schengen. Si tratta di tematiche dove la convergenza politica deve anche trovare attuazioni concrete a livello infrastrutture, come per esempio sul tema dell’energia, dove occorre fare un gigantesco sforzo per le interconnessioni dei sistemi di trasporto e di trasmissione.

La posizione italiana

Venendo infine alle reazioni nazionali italiane, dopo il buio assoluto vissuto durante i giorni dell’elezione del presidente della Repubblica, finalmente la nostra classe politica si è accorta che esiste qualcosa al di fuori delle mura Aureliane e ha cominciato a prendere in considerazione le vicende di cui stiamo parlando, non foss’altro che per lo shock causato dall’impennata dei prezzi dell’energia. Lo spettacolo non è esaltante: accanto a macchine efficienti, quella della Farnesina e quella di Palazzo Baracchini, che stanno operando dignitosamente, osserviamo un vociare a volte dissonante, come quello di chi dice che le sanzioni sono l’ultima misura a cui bisogna ricorrere, salvo dimenticarsi di dire quali altre si possono prendere prima. Dobbiamo solo sperare che il presidente del Consiglio continui con la determinazione che gli è consueta, senza farsi condizionare da chi esprime pareri senza doversi assumere alcuna responsabilità e il cui unico scopo è quello di raccattare qualche voto, senza preoccuparsi di quelli che invece è destinato a perdere.

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