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Olimpiadi, medaglia d’oro alla censura. Il commento di Harth

Propaganda, censura, atleti usati come agenti del governo, i libri di Xi Jinping in sala stampa. Queste Olimpiadi di Pechino non hanno deluso le nostre aspettative. Le hanno superate. L’opinione di Laura Harth

Tutto come previsto. Anzi peggio. Una becera propaganda politica durante e a latere della cerimonia d’apertura. Un trattamento spregevole di atleti e giornalisti. Una perdurante complicità del Comitato olimpico internazionale. Benvenuti a Pechino 2022.

Erano state riempite pagine e pagine circa le differenze tra i Giochi del 2008 ed oggi. Tra la grande entrata della Repubblica popolare sul palcoscenico mondiale e l’odierna affermazione come secondo potenza mondiale. Un potere impenitente che non sente più il bisogno di proiettare un’immagine diversa di quella che è. Ma andiamo per gradi.

Nonostante il reiterato appello a “non politicizzare” le Olimpiadi man mano che gli annunci di un boicottaggio diplomatico diventavano più numerosi, il Partito comunista non si è persa una singola occasione per fare dichiarazioni politiche.

Il passaggio della torcia olimpica con il colonello Qi Fabao, rimasto ferito durante gli scontri con l’esercito indiano nel 2020; l’incontro con Vladimir Putin e l’appello diretto alla non-espansione della Nato il giorno stesso della cerimonia di apertura; i patti sulla Via della Seta con Pakistan e Argentina, con tanto di riconoscimento delle rivendicazioni di quest’ultima sulle isole Falkland proprio nei giorni del 70° giubileo del regno della regina Elisabetta; per finire (o iniziare) con l’accensione della fiamma olimpica dall’atleta uigura Dinigeer Yilamujiang.

Quest’ultima una evidente mossa per zittire le “mala voci” dei tanti governi che avevano scelto di protestare le atrocità continue nello Xinjiang con la loro assenza. Uno schiaffo in faccia alle tante vittime del regime che hanno invano creduto alle promesse dell’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani di pubblicare il suo rapporto indipendente sulla situazione nello Xinjiang prima delle Olimpiadi e che ricordano la sorte dell’uiguro chiamato a portare la torcia nel lontano 2008: Kamaltürk Yalqun oggi si trova rifugiato negli Stati Uniti, mentre suo padre meno fortunato è uno dei milioni di uiguri rinchiusi. Infatti, a distanza di pochi giorni, già sorgono interrogativi sulla sorte di Dinigeer. Dopo ampia copertura del suo ruolo sui media statali cinesi nei giorni scorsi, ieri il Wall Street Journal faceva notare come sia da allora sparita dalla circolazione, non apparendo tra i giornalisti in attesa dopo la sua partecipazione nello sci di fondo sabato.

Un’assenza che sembra contravvenire alle regole del Comitato Olimpico Internazionale che richiedono a tutti gli atleti di passare attraverso una “zona mista” dove possono, senza essere obbligati a, rispondere alle domande dei giornalisti. Al Wsj, il Cio ha confermato che le regole della zona mista rimangono in vigore nonostante la pandemia, ma ha rifiutato di commentare la mancata presentazione della signora Yilamujiang. Non gli è neanche stato possibile raggiungere la signora Yilamujiang tramite il Comitato olimpico nazionale cinese, che non ha risposto alle richieste di commento.

Più ligio al commento lo stesso Coi è stato sull’interruzione in diretta televisiva del giornalista olandese Sjoerd den Daas, affermando che l’incidente era “un evento isolato che non avrà alcun impatto sul lavoro dei media stranieri ai Giochi”.

È stato lo stesso den Daas su Twitter a contestare la versione ufficiale del Coi, dichiarando che l’accaduto era ben lontano dall’essere un incidente isolato, ma ormai la regola per i corrispondenti stranieri nella Repubblica popolare cinese come affermato anche dal più recente rapporto del Foreign Correspondents Club of China. Inoltre, sebbene i giornalisti all’interno della bolla delle Olimpiadi siano completamente tagliati fuori dal mondo esterno, Politico ha rivelato come nel centro stampa non mancano certamente i volumi con il Pensiero di Xi Jinping. Il tutto ovviamente nell’auspicato spirito “non politicizzato” con caratteristiche cinesi.

Nel frattempo cominciano ad imperare anche le lamentele sempre più gravi di delegazioni olimpiche circa il trattamento degli atleti. Tra accuse di violazioni delle regole prestabilite all’utilizzo del Covid “per ragioni politiche e culturali”, gli atleti non se la passano di buon grado come riportano diversi media internazionali oggi. Secondo il Guardian, sono più di 350 i partecipanti, tra cui decine di atleti, che sono risultati positivi dal loro arrivo nella capitale cinese. Molti sono ancora in isolamento, temendo che i loro Giochi siano finiti.

Tra loro la pattinatrice polacca Natalia Maliszewska, che dopo essere stata prima rilasciata dall’isolamento e poi costretta “per un errore nei test” a saltare i 500 metri di short track sabato ha rivelato al Guardian di provare soltanto paura e incertezza in un reparto di isolamento di Pechino. “Da una settimana vivo nella paura. Piango finché non ho più lacrime. Mi hanno fatto uscire dalla mia stanza alle 3 del mattino. Quella notte è stata un orrore, ho dormito vestita nel mio letto perché avevo paura che da un momento all’altro qualcuno mi avrebbe riportato in isolamento. Poi un messaggio che purtroppo si sono sbagliati, che io sono una minaccia e non avrei dovuto essere liberata dall’isolamento. Voglio tornare al Villaggio Olimpico il prima possibile. Non riesco più a capirlo. Non credo più in nessun test, nessuna Olimpiade. Per me questo è un grande scherzo, spero che chiunque lo stia gestendo si diverta molto. Il mio cuore e la mia mente non ce la fanno più.”

Anche l’atleta russa di biathlon Valeria Vasnetsova ha espresso le sue esperienze di essere in un hotel di quarantena, pubblicando su Instagram: “Mi fa male lo stomaco, sono molto pallida e ho enormi occhiaie nere intorno agli occhi. Voglio che tutto questo finisca. Piango ogni giorno. Sono molto stanca.” Vasnetsova ha pubblicato una foto di ciò che ha detto essere “colazione, pranzo e cena già da cinque giorni”: un vassoio con pasta semplice, salsa all’arancia, un pezzo di carne con l’osso, alcune patate e niente verdure.

L’allenatore della Finlandia Jukka Jalonen ha affermato che la situazione sta colpendo la salute mentale di uno dei suoi atleti finito nello stesso incubo. “Sappiamo che è completamente sano ed è per questo che pensiamo che la Cina, per qualche motivo, non rispetterà i suoi diritti umani e questa non è una grande situazione.”

Il Comitato Olimpico Internazionale in tutto questo? Troppo impegnato sabato sera nella sceneggiata di una cena con la tennista cinese Peng Shuai, sparita dalla circolazione per mesi dopo le sue accuse di violenza sessuale contro Zhang Gaoli il quale fu a capo del gruppo di lavoro governativo cinese per i Giochi di Pechino. Un caso emblematico sulla sorte di chiunque osa intaccare l’immagine del Partito comunista cinese e alla quale propaganda politica il Presidente del COI Thomas Bach si è prestato appieno ignorando appelli, testimonianze e persino denunce formali.

 

Un caso emblematico anche questo: della crescente occupazione manu militari del sistema multilaterale da parte di regimi che minano le fondamenta dell’ordine mondiale basato sulle regole. Un ritorno prepotente ad un passato pre-1948 che forse non trova migliore espressione che non nel gioco di parole che ci offre il nome ufficiale di Berlino 1936: “i Giochi della XI Olimpiade”.

 

Laura Harth


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