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I Paesi baltici nel mirino di Putin e i rischi per la Nato

La lezione da trarre da queste prime ore è di prepararsi a uno scenario più ampio di quello ucraino. Ecco perché il prossimo obiettivo potrebbero essere i Paesi baltici: Estonia, Lettonia e Lituania, tutti membri della Nato e dell’Unione europea dal 2004 e la loro appartenenza all’Alleanza atlantica cambierebbe completamente lo scenario

E adesso che succede? Vladimir Putin si è posto dei limiti ed eventualmente quali? La lezione da trarre da queste prime ore è di prepararsi a uno scenario più ampio di quello ucraino perché il leader russo sta dimostrando che si fermerà solo quando lo vorrà e che qualunque tipo di sanzione occidentale non gli farà cambiare idea.

Obiettivo futuro: i Paesi baltici

Ecco perché il prossimo obiettivo potrebbero essere i Paesi baltici: Estonia, Lettonia e Lituania (quest’ultima ha proclamato lo stato d’emergenza). Sono membri della Nato e dell’Unione europea dal 2004 e la loro appartenenza all’Alleanza atlantica cambierebbe completamente lo scenario. La preoccupazione è dimostrata dalla richiesta della Polonia e della Lituania di attivare l’articolo 4 del Trattato istitutivo della Nato in base al quale “le parti si consulteranno ogni volta che, nell’opinione di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti fosse minacciata”. Nel frattempo la Bielorussia, che confina con quei territori, ha chiuso lo spazio aereo ai voli civili.

Rinforzi militari

Da giorni si ripetono segnali di preoccupazione nei confronti dei tre Paesi baltici. Complessivamente contano 6 milioni di abitanti rispetto ai 44 milioni di ucraini: territori poco estesi che faciliterebbero un’operazione militare nemica. Nei giorni scorsi il presidente americano, Joe Biden, ha inviato 800 fanti, otto caccia F-35 e 32 elicotteri d’attacco AH-64 Apache, alcuni dei quali in Polonia, in aggiunta alle presenze alleate. I fanti sono della 173ª brigata aviotrasportata di stanza a Camp Ederle (Vicenza). Inoltre, dal 2016 è in piedi la missione “Baltic Guardian”, una eFP (enhanced Forward Presence) dell’Alleanza costituita da quattro Battle group multinazionali guidati rispettivamente dal Canada in Lettonia, dalla Germania in Lituania, dal Regno Unito in Estonia e dagli Stati Uniti in Polonia.

L’Italia è presente in Lettonia con il Task group Baltic, circa 230 soldati e 130 mezzi terrestri (attualmente quasi tutti del 2° reggimento Alpini con militari del Reggimento Nizza Cavalleria, del 2° Reggimento Trasmissioni e del 17° Reggimento Contraerea Sforzesca) che proprio pochi giorni fa ha completato l’esercitazione “Ajax Strike”. In Romania, a pochi minuti di volo, l’Italia è presente nell’Operazione Enhanced Air Policing Area South: quattro caccia Eurofighter nella base di Costanza.

I rischi per la Nato

Se Putin volesse aggredire anche i tre Paesi baltici, riportandoli sotto l’ala di Mosca secondo il suo progetto strategico, sarebbe un attacco frontale alla Nato e prima ancora, alle nazioni che hanno una presenza militare in quelle aree. Uno dei Paesi attaccati o tutti e tre potrebbero chiedere l’attivazione dell’articolo 5, come fecero gli Stati Uniti dopo l’11 settembre da cui derivò la missione in Afghanistan. Ma gli altri sarebbero tutti d’accordo? Secondo l’articolo 5, infatti, “le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale”. Significa che può esserci anche un’azione individuale e non necessariamente collettiva, dipende da chi la “giudicherà necessaria”.

“L’articolo 5 è corazzato”

Il primo comunicato della Nato è molto netto: oltre a condannare l’invasione e a rilanciare il dialogo, la parte rilevante è quella in cui si afferma che la Russia ha posto una “seria minaccia” alla sicurezza euroatlantica e che ci saranno “conseguenze geostrategiche”. Si sottolinea il dispiegamento di ulteriori forze terrestri e aeree per assicurare la difesa dei “nostri alleati”, aumentando la prontezza operativa. Infine, l’impegno relativo all’articolo 5 è corazzato (“iron-clad”): siamo uniti nel difenderci reciprocamente. Un passaggio molto significativo perché l’Ucraina non è membro della Nato e quindi è un avvertimento per eventuali ulteriori azioni.

La forza di reazione rapida

Nel 2014 la Nato rispose all’annessione della Crimea creando la Very High Readiness Joint Task Force (Vjtf), oggi a guida francese, incorporandola nella Nato Response Force (Nrf) che tocca così 40mila unità. Inoltre, ci sono due flotte navali di reazione immediata nel Mediterraneo inquadrate nella missione Standing Naval Forces alla quale l’Italia partecipa periodicamente. I 5mila militari della Vjtf, tra truppe di terra, aria e mare, possono essere operativi entro 72 ore in caso di crisi: l’eventuale aggressione a membri Nato sarebbe un caso da manuale, ma da manuale operativo e non necessariamente politico. Non è detto che qualche Stato dell’Est europeo gradirebbe essere coinvolto in una guerra ai propri confini dagli esiti imprevedibili e non è detto neanche che Stati più lontani non possano pensare la stessa cosa. Naturalmente sono valutazioni scritte sull’acqua, ma significherebbe una vittoria di Putin e una sconfitta della Nato.

Le reazioni e il problema profughi

Se il Parlamento europeo si riunirà in sessione straordinaria addirittura martedì prossimo, quando una parte del mondo potrebbe essere cambiata, le reazioni dei singoli Stati sono ancora da definire. In pratica, possono essere solo sanzioni economiche oltre a ovvie mosse diplomatiche come la convocazione degli ambasciatori russi. Un messaggio da leggere tra le righe è quello dell’ambasciatore in Italia, Sergey Razov, il quale “ha espresso l’auspicio che, rispetto alla situazione ucraina, l’Italia mantenga quella politica ponderata che tradizionalmente caratterizza le relazioni bilaterali tra Russia e Italia”. Un rinnovato tentativo di spaccare il fronte occidentale.

Nelle prossime ore si capirà quanto grande sarà la massa di ucraini che cercheranno un posto fuori dal loro Paese e, al di là delle previsioni delle scorse settimane che parlavano di diversi milioni, è troppo presto per dirlo. Tutti i Paesi confinanti e in genere tutti gli Stati europei dovranno fare la loro parte. Un discorso a parte meritano governanti o personaggi di spicco dell’Ucraina che potrebbero essere nel mirino dei russi: qui il ruolo delle intelligence occidentali sarà decisivo.

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