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Perché Francesco da Fazio mi ha ricordato Croce

Nell’intervista Bergoglio ha spiegato con estrema semplicità cosa sia la fratellanza, con parole semplici, dirette e profonde. Nel complesso l’operazione che è riuscita a Fazio è una grande pagina di storia della televisione. L’analisi di Riccardo Cristiano

Benedetto Croce scrisse “perché non possiamo non dirci cristiani”. Da allora è passato molto tempo e molti dicono che l’Italia si sia scristianizzata. Forse ieri sera una buona parte di italiani ha potuto domandarsi se davvero ha scelto la strada della scristianizzazione in modo consapevole. O non è stata l’idea che il cristianesimo sia una strada abbandonata, non più percorribile, bigotta e lontana dal mondo che alcuni hanno pensato davvero di non esserlo più. Questo interrogativo può essere entrato nella testa o nella coscienza di alcuni spettatori comuni, figlie di questo nostro tempo, che all’ora di cena guardavano Fabio Fazio su Rai3, con il suo Che tempo che fa.

Nell’intervista Bergoglio ha spiegato con estrema semplicità cosa sia la fratellanza, con parole semplici, dirette e profonde. Nel complesso l’operazione che è riuscita a Fazio è una grande pagina di storia della televisione, dove il salotto di casa diviene un momento offerto senza sforzo e senza fatiche per capire, capirsi, guardarsi dentro e guardarsi attorno, vedere la realtà senza paraocchi e senza paroloni, senza urla ma soprattutto senza banalità, né omissioni. In modo accessibile a tutti.

Francesco ha parlato del mondo come è, ha negato di fare tanta fatica a richiamare alla consapevolezza affermando che le vere fatiche le fanno i migranti, i disoccupati, i giovani che cercano un ruolo, i malati, gli abbandonati, i delusi, chi fa fatica ad arrivare a fine mese, chi patisce le guerre che insanguinano il mondo, chi vede i suoi cari sparire, o morire, chi soffre di devastazioni climatiche o ambientali, come tanti altri. Straordinario.
Citando canzoni e poeti, vecchiette che si confessano e giovani che gli pongono domande, è entrato in un talk show nel corso del quale ha toccato tre vette come se chiedesse di fare due passi sotto casa.

La prima, per me, è stata quella in cui ha rappresentato la Chiesa che vorrebbe come una Chiesa che si libera dal male del clericalismo, una pericolosissima ideologia che sostituisce il Vangelo. Il secondo è stato quello in cui ha spiegato a tutti, credenti e non credenti, cosa voglia dire pregare: pregare, ha spiegato, è fare come il bambino che chiama mamma, o papà. La profonda semplicità di questa spiegazione ha ricondotto potenti e umiliati alla loro piccolezza, ma anche alla loro dimensione di figli, amati. La terza vetta è stata raggiunta da Francesco quando ha spiegato agli italiani in poltrona, a casa loro, in una tranquilla serata domenicale, che essere perdonati è un diritto umano. Un diritto umano… Dio non condanna, perdona chi glielo chiede. Dio non manda all’inferno, ma ci fa rialzare. Questo il senso della sua idea di Dio, della sua idea di misericordia. Dio è onnipotente nell’amore, ha detto Francesco, poi ci lascia liberi, e in questa libertà nascono anche gli errori, le colpe, le sopraffazioni.

Francesco è arrivato dritto al cuore della simpatia e del rispetto per l’altro quando ha detto che chiede di pregare per lui, ma a un non credente, o agnostico, chiede di mandargli buone onde, perché ne ha tanto bisogno. In queste parole Francesco ha spiegato di tutta evidenza di credere davvero alla fratellanza umana, che siamo tutti fratelli, rispettando quindi la nostra identità e dell’umano reciproco desiderio di aiutare e di essere aiutati. Il suo appello per una politica europea dell’accoglienza è stato sferzante, al punto da mettere l’Europa davanti alla sua pluriennale inconsistenza. Ognuno dica quanti fuggiaschi può accogliere, con chiarezza. I Paesi più esposti agli sbarchi non possono diventare luogo di affanno e perdizione. La responsabilità è di tutti.

Le parole sulla mondanità nella Chiesa, cioè su questo spirito che segue i valori del mondo, del successo, dell’io, avranno scosso chi ha capito che come questo lui lo dice della sua Chiesa così ognuno dovrebbe o potrebbe trovare la forza di capirlo in qualche modo per sé.

Grazie a Francesco e all’impresa di Fazio la fede come stile di vita e non come ideologia del mondo e sul mondo è entrata con vibrante semplicità e accessibilità nelle case di tanti, vicini o lontani, ma comunque umani. Si capisce quando si tocca: il tatto è il senso più completo. Una perla del realismo evangelico di Francesco, che ha ricordato che il “Verbo si è fatto carne”… La fede non è un’idea.

Interessati o poco interessati, contenti o distratti, consapevoli o riottosi, tutti gli spettatori – credenti o non – si sono trovati a confronto con la vita e i suoi evidenti misteri, con la pandemia, con lo scandalo dei lager che preserviamo nella vicina Libia, dei mutamenti climatici che violentano la vita del mondo e degli uomini, di popolazioni intere. E questo ha portato nella casa di tutti la cosa più sacra di tutte, la fratellanza cosmica, tra umani e natura, tra noi e tutti gli ambienti terrestri ed extraterrestri.

I custodi della sacralità, del papa inteso come un semi-dio, lontano e distante, inaccessibile a noi, avranno capito? Per circa mezz’ora il vangelo è tornato a vivere in immagini e parole semplici, in fatti presi dalla quotidianità che potevano toccare, non in astrazioni o elucubrazioni riservate a pochi. Se qualcuno pensa che questo sia un mondo scristianizzato e non gli piace dovrebbe ringraziare la capacità comunicativa di Francesco e il suo coraggio di andare in un contesto normale, non negli spazi “appositi”.

Grazie a Fazio il racconto del papa che crede che nessuno può essere guardato dall’alto in basso se non per rialzarsi è stato detto a noi come al caminetto, per farci capire che tutti abbiamo bisogno di cambiare qualcosa. Come possiamo. E magari tornare a pensare che in fondo Croce poteva avere ragione dicendo che “non possiamo non dirci cristiani”, nonostante tutto ciò che della Chiesa, fatta da uomini, non ci piace.



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