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Politica energetica, così Draghi manda in soffitta trent’anni di no

Il tema del gas ha portato alla luce tutte le contraddizioni degli ultimi decenni nel Paese. In quello che stiamo vivendo c’è tutto il paradosso che dagli Ottanta accompagna in Italia il rapporto tra ambiente e sviluppo economico. Il commento di Stefano Cianciotta, presidente Osservatorio Infrastrutture Confassociazioni e Abruzzo Sviluppo

“Le vicende di questi giorni dimostrano l’imprudenza di non aver diversificato maggiormente le nostre fonti di energia e i nostri fornitori negli ultimi decenni”. Dopo anni nei quali è mancata una seria riflessione sulle politiche energetica le affermazioni usate dal presidente del Consiglio Mario Draghi oggi alla Camera, sembrano il preludio ad una nuova stagione di politica energetica per il Paese.

La tempesta perfetta, infatti, non esiste. Esistono invece solo le scelte sbagliate, determinate dalla rincorsa al facile consenso di breve periodo, che ha le gambe corte come le bugie, Tap e Ilva insegnano.
Cari sostenitori del no a tutto e della decrescita, chi glielo dice agli imprenditori e ai cittadini italiani che in questi anni avete impedito una seria riflessione sulle risorse energetiche?

Perché quello che è accaduto da almeno quindici anni nel nostro Paese sul rapporto tra le infrastrutture e lo sviluppo economico, è figlio una riflessione conservativa, che dal referendum sul nucleare in poi si è guardato bene di discutere di progresso in modo razionale.

Se a questo aggiungiamo anche la scelta di molti amministratori pubblici di evitare di decidere (in Puglia solo tre sindaci del Salento non firmarono allora la lettera al Presidente della Repubblica per chiedere di bloccare il Tap), preferendo il rinvio delle opere sine die, capiamo che non esiste la tempesta perfetta, ma quello che stiamo vivendo è solo il frutto di decisioni sbagliate, o peggio di decisioni rinviate o non prese.

Il tema del gas, infatti, ha portato alla luce tutte le contraddizioni degli ultimi decenni nel Paese. In quello che stiamo vivendo, nelle bollette delle aziende e delle famiglie moltiplicate per 4 o per 5, c’è tutto il paradosso che dagli Ottanta accompagna in Italia il rapporto tra ambiente e sviluppo economico, equazione costruita sulla pancia e mai sull’evidenza dei dati.
Prima il referendum per chiudere le centrali nucleari 1987, come se un ipotetico incidente al confine francese avesse messo l’Italia al riparo da una potenziale catastrofe nucleare, poi dal 1992 l’accelerazione sempre maggiore contro le opere pubbliche e la necessità di intensificare i controlli e disciplinare le procedure (Antonio Di Pietro nel 1997 divenne ministro delle Infrastrutture), poi la “deriva” ambientalista con le battaglie dal 2007 in poi contro trivelle e gasdotti, che hanno aperto la strada al no a tutto e a nuovi movimenti politici.

In mezzo la Legge Obiettivo (2001), la cui finalità era quella di riportare in agenda il tema delle infrastrutture come leva strategica dello sviluppo. Poco per un Paese che negli ultimi trenta anni ha realizzato solo il 13% di nuove infrastrutture e che, Alta Velocità ferroviaria a parte di nuove strade ne ha realizzate davvero pochine.

Siamo circondati da centrali nucleari, nell’Adriatico i Paesi della ex Jugoslavia estraggono petrolio e gas approfittando della nostra inerzia, siamo insieme con la Germania il Paese che in Europa dipende di più dall’approvvigionamento energetico, l’Europa ci impone una road map decisa verso la transizione ecologica e preferiamo mettere a rischio decine di migliaia di posti di lavoro invece di alzare la voce e negoziare, il rapporto di fiducia nei partiti e nella magistratura è ai minimi termini, nel Mediterraneo geopolitico siamo schiacciati dal disimpegno degli Usa e della Nato e il Canale di Sicilia è ormai il luogo dove giocano a dividersi il mondo Turchia, Russia e Cina.

Abbiamo grandi imprese che dovremmo tutelare, come l’Eni, e invece magistratura e media fanno a gara a chi può distruggerle prima. Tutto male insomma?

Tira certamente una brutta aria, ma per fortuna ci sono gli imprenditori, le imprese, e i loro lavoratori, che non si arrendono e contribuiscono ogni giorno con il loro impegno a dare valore al Paese. C’è il Tap, che è stata un’opera sulla quale il Paese che conta non ha arretrato. Ci sono nuovi sindaci, che anche nel Salento stanno mettendo in campo azioni innovative di dialogo con i territori, così come ci sono aziende pubbliche importanti, quali sono Snam e Terna, che coprogettano le opere con le comunità locali.

L’aria è pesante ma se vogliamo continuare a immaginare un futuro diverso, e a dare senso al Pnrr (che altrimenti sarà l’ennesima occasione sprecata) dobbiamo ripartire dalle parole di Mario Draghi e da quei segnali incoraggianti che ogni giorno milioni di persone danno al Paese. Senza peraltro chiedere nulla in cambio.

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