Disinformazione, una delle leve strategiche principali del Cremlino, in azione in Ucraina dove si prospetta una logorante guerra ibrida
Il Cremlino usa le (dis)informazioni come un’arma per raggiungere i propri obiettivi di sicurezza nazionale. Sebbene gli sforzi di Mosca nel campo della disinformazione abbiano attirato molta attenzione da parte della Comunità internazionale, l’attività diplomatica collegata, le operazioni di sabotaggio, le pressioni psicologiche, le alterazioni dei fatti nella narrazione deviata, la costante preparazione della cittadinanza a un confronto (che sia armato o meno), ossia le campagne di guerra ibrida spinte dall’infowar sono una componente cruciale nella strategia di Vladimir Putin.
Kevin Riehle dell’Università del Mississippi ha raccolto tutto questo in una nuova pubblicazione scientifica uscita a fine gennaio in cui definisce certe attività (che in epoca sovietica venivano definite anche “misure attive”) “parte integrante delle interazioni della Russia nell’ambiente internazionale”. Quello di Riehle è uno studio che fornisce una lente di lettura perfetta su tutto ciò che sta accadendo attorno ai confini ucraini, dove dietro l’ammassamento di truppe ordinate da Putin c’è molto di più di una iper-denunciata invasione dell’Ucraina. Per il presidente russo è in gioco la sua eredità, consapevole che prima o poi (anche per ragioni di età) dovrà lasciare il potere a un successore e non potrà farlo senza aver risolto dossier importanti.
L’Ucraina ha un posto di primo piano nella narrazione putiniana — quella che guida la Russia adesso e che Putin vuole lasciare incisa nella storia del Paese. L’annessione della Crimea è un simbolo della visione etno-nazionalista e l’intervento in sostengo dei russi (russofoni, d’etnia, cultura, inclinazione che siano) che vivono in Ucraina ha un valore. Su questo battono i media di stato perché è qui che si snoda la propaganda strategica. Negli approfondimenti domenicali (stortura, come altre russe, che copia quelli statunitensi) andati in onda ieri, domenica 13 febbraio, la potentissima Margarita Simonyan, direttrice del network strategico multilinguistico RT, ha pianto in diretta mentre diceva che la Russia non ha altra scelta che intervenire prima che l’Ucraina costruisca campi di concentramento e inizi a gasare le persone.
Il richiamo ai campi e al gas è un trigger: Putin ha speso sforzi revisionistici per descrivere la Russia come forza che ha sconfitto il nazismo, e nel descrivere i mali di Kiev si tira spesso in ballo il peso che all’interno del Paese avrebbero formazioni politiche e attivistiche di estrema destra. Che esistono, hanno presentato liste elettorali e mosso volontari al fronte del Donbas per combattere contro i separatisti assistiti da Mosca, ma sono una sparuta minoranza — chiaramente col peso che tutte le minoranza hanno, ossia l’essere rumorose e diventare simbolo per collettività diverse e molto più complesse.
Soprattutto questo peso aumenta se è oggetto delle costruzioni disinformative. Le operazioni della Russia nel campo dell’informazione sono una delle leve del potere nazionale: lavorano di concerto con tutte le altre leve del potere per raggiungere una lista definita di obiettivi di sicurezza e interessi di Mosca. A giudicare da dichiarazioni, politiche, dottrina e azioni, emersi anche durante queste settimane di tensioni crescenti, sembra che gli obiettivi della Russia siano: proteggere il potere di Putin; controllare lo spazio post-sovietico; controbilanciare lo strapotere globale statunitense almeno in aree di potenziale influenza; rappresentare la Russia come un attore indispensabile negli affari mondiali; dividere e distruggere la Nato e l’Unione europea (che Mosca percepisce come competitor diretto e minaccia alla propria prosperità).
Tutto questo si ritrova nella crisi ucraina. L’obiettivo di Putin a breve termine è probabilmente più un negoziato aggressivo che un’invasione, ma intanto le unità russe si muovono a pochi chilometri dal confine ucraino e la popolazione russa è continuamente preparata alla guerra. I media pro-Cremlino accusano Kiev sostenendo che potrebbe essere l’Ucraina a preparare un’offensiva. È un riflesso anche dell’aumento delle capacità tecniche ucraine, che Putin teme; per esempio l’effetto che l’uso offensivo dei droni turchi potrebbe avere sul conflitto nel Donbas. E a proposito di droni turchi, tra le varie informazioni che gli Stati Uniti hanno fatto circolare per denunciare in anticipo Mosca, c’è anche la possibilità di un false flag per costruire il pretesto per un attacco (nel piano russo, Kiev sarebbe accusata di aver bombardato i separatisti e Mosca sarebbe chiamata all’intervento per difendere i russi in Ucraina).
Chi scrive riceve un’informazione dal fronte di Lugansk: un comandante di un’unità ucraina dice “siamo pronti a tutto”, ma “è il momento di mantenere la calma e tenere ferme le armi per non cadere in provocazioni”. Gli analisti di Kiev sono convinti che la massa russa ai confini non sia sufficiente per un’invasione su larga scala di un paese grande come l’Ucraina, ma temono che possa crearsi uno o più casus belli. Temono che quella presenza russa spinga una guerra ibrida, di logoramento, in grado di produrre dissensi interni e attriti internazionali. Una condizione che potrebbe portare l’Ue (o quanto meno Paesi come Germania, Francia e Italia) a cercare una mediazione spinta, ossia portando l’Ucraina all’accettazione di qualche compromesso.
In tutto ciò, la Russia — avendo innescato la situazione — potrebbe essere più pronta a sostenere il peso di questa guerra di nervi, anche se con un risvolto negativo evidente: le tensioni hanno portato per ora a una compattazione (seppure con differenze e peculiarità) il fronte occidentale, che ha risposto in modo coeso anche nella narrazione, ossia nel denunciare anticipatamente le mosse aggressive russe e nel mostrarsi seriamente preoccupato per un potenziale attacco.
Così come per gli spostamenti di mezzi, inoltre, le open source che negli spazi democratici circolano senza filtri e vincoli, potrebbero essere un importante cartina tornasole se ci dovesse essere un’invasione. Qui la Russia avrà i suoi strumenti però, già testati in situazioni come per esempio la Siria: Mosca ha sviluppato capacità di negare bene l’evidenza — si rende credibile, apprezzabile, semina dubbio — e per sostenere queste negazioni ha pronto un corposo insieme di asset, dai media tradizionali alle campagne cyber.
Bellingcat — il sito che meglio di tutti descrive certe attività russe — le chiama “le quattro M”, misdate, mislocate, misrepresentation, modify: ossia, cambiare data, luogo e rappresentazione dei fatti, e poi modificarli. Oggi il ministero della Difesa russo annuncia che alcune delle esercitazioni per cui Mosca ha mosso soldati verso l’Ucraina starebbero finendo e le unità rientreranno alla base, e il Cremlino fa sapere che Putin è pronto a continuare colloqui sulla sicurezza con l’Occidente. Al fronte non ci sono riscontri per ora di questi spostamenti, “anzi”.