Poche ore prima dell’inizio delle Olimpiadi di Pechino e del suo incontro con il presidente cinese, il leader russo scrive un articolo sulle relazioni bilaterali. All’Occidente serve un’azione concertata, e in fretta
Alla vigilia dell’inaugurazione delle Olimpiadi il presidente russo Vladimir Putin ha pubblicato un articolo dal titolo significativo, Russia and China: A Future-Oriented Strategic Partnership”, sull’agenzia di stampa cinese Xinhua.
La prima parte del testo è dedicata allo sviluppo delle relazioni bilaterali, che soprattutto nell’ultimo decennio hanno dato luogo a una partnership economica, militare e politica a 360 gradi tra due grandi potenze.
Nonostante l’asimmetria strutturale e la grande distanza demografica (uno a dieci), il presidente russo (sin da quando era a a capo dell’Fsb alla fine degli anni Novanta) ha sempre ricercato una partnership di carattere paritario. Ancora di più oggi. Mosca intende contrastare un nuovo modello bipolare della politica internazionale in cui Stati Uniti e Cina dominano la scena (il cosiddetto G2). Alcuni studiosi parlano della Russia come di un alleato strategico della Cina. A mio avviso, però, sbagliando: al di là delle asimmettrie demografiche, le ambizioni di Putin sono ben più grandi di quelle di un alleato (per quanto strategico) del Dragone.
Non è un caso nell’articolo che ho citato all’inizio, Putin scrive che tra i principi ispiratori della nuova era della cooperazione sinorussa c’è innanzitutto, e più importante di tutti, la parità tra le due grandi nazioni.
È utile ricordare che numerose sono le iniziative congiunte nei campi più disparati: aerospazio, armamenti, esercitazioni militari, energia nucleare a uso civile, gasdotti e oledotti, prodotti petroliferi e derivati, telecomunicazioni e ambito digitale, eccetera.
Putin nel suo articolo elenca dettagliatamente gli obiettivi da raggiungere nel prossimo futuro: interscambio commerciale di 200 miliardi di dollari all’anno, investimenti diretti nell’industria e nell’agro-alimentare, iniziative in campo minerario, della trasformazione delle risorse minerali e nelle infrastrutture. Per la Russia, la cooperazione con Pechino è, inoltre, importante per favorire lo sviluppo lo sviluppo della Siberia e dei territori russi in Oriente che confinano direttamente con la Cina. A tal proposito, Putin sottolinea come dal 2024 la la modernizzazione della ferrovia trans-siberiana, dei collegamenti Baikal-Amur e dei porti asiatici sono funzionali alla cooperazione bilaterale.
In questa cornice una particolare rilevanza potrebbe assumere nel medio e lungo termine la convergenza in campo monetario e del sistema dei pagamenti. Oggi lo yuan copre soltanto il 2% delle transazioni commerciali mondiali e non pienamente convertibile. Ma in futuro è probabile un suo uso maggiore. Nel 2019 i due Paesi hanno siglato un accordo che ha lo scopo di aumentare i pagamenti nelle rispettive monete nazionali. La recente introduzione di yuan e rublo digitale, inoltre, potrebbe incentivare questa prospettiva nella più ambia visione strategica della Via della Seta.
È bene richiamare l’ampiezza delle convergenze tra Russia e Cina perché l’opinione pubblica italiana non è informata sull’intensità e sull’estensione della collaborazione tra Mosca e Pechino. Naturalmente non sono tutte rose fiori. Una certa rivalità tra Mosca e Pechino è da considerare “fisiologica” e i precedenti non mancano, per esempio gli scontri militari lungo il fiume Ussuri nel 1969. Il dialogo tra Henry Kissinger e Zhou Enlai riuscì proprio a inserirsi in queste difficoltà.
L’asse strategico Cina-Russia è in fase di rilancio. Le diplomazie dei Paesi democratici dovrebbero cercare un approccio unitario, ma che tenga anche conto della diversità degli interessi dei singoli Stati. Ciò che tuttavia è importante è evitare stereotipi e schematismi tipici della disinformazione russa: da Mosca nessuna minaccia, il problema semmai è Pechino. I canali di apertura devono essere tenuti con entrambi, idem per posizioni assertive e sanzioni.
I valori del mondo libero si difendono con realismo e astuzia non cadendo nelle trappole della propaganda. Le divisioni nella destra europea sono sotto questo profilo emblematiche. Mentre il primo ministro ungherese Viktor Orbán imperterrito intensifica i suoi stretti legami con Mosca e Pechino senza porsi alcun problema, i leader populisti polacchi e di altri Paesi non ci stanno e rompono con Mosca. Cosa faranno nelle prossime settimane Giorgia Meloni e Matteo Salvini? Fratelli d’Italia e Lega hanno già rapporti con la parte migliore del Partito repubblicano degli Stati Uniti. È auspicabile che la collaborazione si intensifichi, ma deve essere chiaro a tutti che essa è incompatibile con la politica estera di Orbán e non potrà non esserci a breve nel centrodestra europeo una resa dei conti.
Per avere un quadro completo servirà analizzare gli esiti del faccia a faccia tra Putin e Xi Jinping, nella consapevolezza che all’asse strategico Russia-Cina non si può rispondere con decisioni nazionali o con l’introversione dell’Europa. Serve un’azione concertata di tutte le democrazie occidentali, asiatiche e africane che sappia dosare con intelligenza la politica carota e bastone.