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Salvini e l’Elefantino nella stanza. Parla Norquist

Intervista a Grover Norquist, presidente dell’Americans for Tax Reform (Atr) e guru anti-tasse dei conservatori americani. Una federazione repubblicana in Italia? Si può fare, parta dalle tasse e dalla politica estera (occhio alla Russia). Trump? Il partito è vivo e vegeto

Un partito repubblicano? Si può fare. Grover Norquist ha un paio di consigli non richiesti per Matteo Salvini. Il leader della Lega vuole rimettere insieme i cocci del centrodestra – imploso durante le elezioni per il Quirinale – e immagina una federazione “repubblicana” per ricompattare il fronte di centristi e conservatori con Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi. Per far breccia nei cuori delle élites (italiane ed europee) e arrivare a Palazzo Chigi però serve qualcosa in più. Lo sa anche Norquist, che conosce i Repubblicani come le sue tasche. Presidente dell’Americans for Tax Reform (Atr), potente lobby conservatrice fondata da Reagan che fa della guerra alle tasse la sua missione, da trent’anni fa firmare a congressmen, Repubblicani e Democratici, un “giuramento” solenne: non alzeremo mai le imposte, neanche di un dollaro. Chi viola i patti lo fa a suo rischio e pericolo: meglio non avere uno come Norquist contro.

Le tasse: partiamo da qui. La politica fiscale può diventare la colonna della “federazione repubblicana” che immagina Salvini?

La battaglia contro le tasse è sempre stata e continuerà ad essere la colonna dei Repubblicani. Per un partito di centrodestra è semplicemente il punto di partenza.

No tasse, no party…

Guardi, in una coalizione conservatrice ci possono essere tendenze e correnti diverse. Succede anche qui: chi si concentra sulle politiche pro-vita, chi sul secondo emendamento, chi ancora sulla vendita di armi. Una sola cosa unisce tutti i Repubblicani: nessuno vuole che il governo alzi le tasse.

Proseguiamo: il secondo ingrediente per una federazione?

La politica estera.

Che non fa prendere voti…

Non importa. Se non si vuole finire col diventare un partito regionale, la politica estera deve essere centrale. Come su altri temi più rilevanti alle urne, ad esempio tasse e istruzione, anche qui più sensibilità possono convivere insieme purché il partito sia compatto.

Su cosa?

Sulla Russia, ad esempio, serve una posizione chiara. Il contrasto alla minaccia contro l’Europa della dittatura e dell’imperialismo sovietico è sempre stato un punto fermo dei Repubblicani, non si può ignorare.

Norquist, qui c’è un altro tema. In Italia c’è una destra che fatica a superare il “veto” di una parte dell’establishment europeo e internazionale. Un veto che può sbarrare la strada verso il governo. C’è una lezione dai Repubblicani?

Facciamo un passo indietro. Sa quante volte i Repubblicani hanno avuto in mano sia Camera che Senato dal 1933 al 1995? Quattro volte. Una ogni quindici elezioni. Dal ’95 ad oggi il trend si è invertito. Questo perché hanno dato vita a una grande coalizione di centrodestra che ha messo al centro dell’agenda i problemi degli americani e ha saputo tenerli insieme.

Ad esempio?

Dalla libertà religiosa ai valori tradizionali, dall’educazione e le scuole paritarie fino alle tasse e il controllo della spesa pubblica. Per molti anni il mondo repubblicano è sembrato più piccolo di quanto fosse davvero. C’erano Democratici del sud più conservatori di alcuni Repubblicani, ma solo dagli anni ’90 sono passati dall’altra parte.

E il messaggio per il centrodestra italiano qual è?

Se vuoi governare, devi presentarti come una forza in grado di governare. L’immigrazione attira l’attenzione della gente, lo capisco, ma non può essere l’unico tema. Un partito conservatore sul modello repubblicano deve anzitutto risolvere problemi, proporre soluzioni. Limitare il governo quando si espande troppo e danneggia l’economia, la crescita, i salari.

Altrimenti?

Se ti concentri su una sola battaglia, l’immigrazione appunto, la gente si chiederà: sono in grado di gestire la sicurezza nazionale? E la Sanità? Ma se si mette nero su bianco un programma variegato, dalla Difesa alla politica estera, dal controllo dei confini alla politica fiscale, e si crea una comunicazione mirata sui singoli temi, allora nessuno avrà dubbi.

Certo i Repubblicani americani oggi non vivono momenti di gloria. La legacy di Trump pesa ancora come un macigno.

Sfatiamo un falso mito. A causa della sua personalità molti credono che Trump abbia impresso un cambiamento drastico al partito Repubblicano: non è così.

Spieghi…

Basta guardare cosa ha fatto. Difesa nazionale, tasse, spesa militare, politiche a favore della crescita, contrasto alle guerre infinite. Fatta eccezione per le politiche commerciali, si è mosso sulla scia di Reagan.

Insomma, non è stata un’inversione a “u”.

Una piccola virata. E ha lasciato il partito in ottima salute. Oggi ha metà dei parlamentari alla Camera, metà al Senato, e se i sondaggi non mentono potrebbe conquistare entrambi alle midterm. I Repubblicani sono vivi e vegeti. Anche grazie ai disastri dei Democratici, ma questa è un’altra storia.

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