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Cosa racconta lo scontro all’Onu sull’Ucraina

Cina e Russia si compattano all’Onu contro la richiesta statunitense di parlare di Ucraina. Le autarchie fanno blocco (e c’è chi ne è interessato)

Al Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è consumato un passaggio del confronto tra modelli — democrazie contro autoritarismi — quando lunedì 31 gennaio gli Stati Uniti hanno chiesto di intavolare la discussione sulla crisi innescata dall’ammassamento di truppe russe lungo il confine ucraino.

Mosca ha provato a usare una disposizione tecnica per far saltare la discussione, Pechino si è accodata dicendo che in questo momento sarebbe stata preferibile una “diplomazia quieta” piuttosto che un dibattito pubblico che rischiava di trasformarsi in scontro diplomatico.

India, Kenya e Gabon si sono astenute, mentre altri dieci Paesi hanno votato per far procedere il dibattito tra i vari rappresentanti — dove gli Stati Uniti hanno avanzato in ambito onusiano le preoccupazioni internazionali sul rischio di un attacco russo contro l’Ucraina.

La posizione indiana è un elemento interessante, che racconta come il confronto tra modelli in corso sia articolato. Nuova Delhi è allineata con le Democrazie nell’Indo Pacifico, dove il Quad (Usa, Giappone, Australia e appunto India) ha assunto un ruolo geopolitico via via più importante nel piano statunitense per contenere la Cina. Ma contemporaneamente nei contesti internazionali multilaterali e soprattutto su determinati argomenti scabrosi evita allineamenti e segue un’agenda propria.

L’India ha questioni territoriali aperte, col Pakistan e la Cina per esempio, e dunque alla luce di questo sceglie l’astensione sulle vicende che riguardano la sovranità ucraina (messa in discussione dal rafforzamento militare russo al confine, e da ciò che potrebbe succedere). La ragione è non rischiare incoerenze tra questioni altrui e proprie.

L’approccio valoriale, che viene usato anche come collante dalle democrazie occidentali, rischia di diventare un appesantimento per certi Paesi coinvolti in questioni annose e complesse. È qui che le autocrazie spingono il proprio approccio pragmatico — apparentemente contraddittorio con il peso che l’ideologia ha in sistemi come per esempio quello cinese, ma un conto è ciò che accade all’interno dei propri confini, un altro è come questi si pongono davanti Paesi terzi.

Le scelte dell’amministrazione Biden, che ha elevato i diritti democratici come vettore di relazioni internazionali, sono politicamente comprensibili per gli interessi di Washington (e alleati come l’Ue), ma il rischio è che questa scommessa di carattere ideologico rischi di far avvicinare altri Stati — dove la democrazia non è così scontata, automatica, assorbita — verso Cina, Russia e altre parti del modello autocratico.

L’allineamento russo-cinese è un fattore di enorme importanza negli affari internazionali, che rappresenta il più grosso ostacolo per Usa e Ue. Quello che sta succedendo con la crisi ucraina è parte di questo confronto tra potenze: per Usa e Nato la costruzione di una forte deterrenza convenzionale e strategica contro la Russia, insieme all’indipendenza energetica americana e la sicurezza energetica europea, rende Mosca una minaccia minore per la comunità transatlantica e contemporaneamente un partner meno utile e rilevante per la Cina.

“L’attenzione del mondo può essere fissata sulla sfida della Russia all’Ucraina, ma l’amministrazione Biden affronta qualcosa di molto più grande: una sfida crescente da parte di Cina e Russia e [Paesi] opportunisti come Iran e Corea del Nord all’ordine globale che gli Stati Uniti hanno ereditato da un impero britannico vacillante negli anni Quaranta”, ha scritto Walter Russel Mead, saggista tra i maggiori studiosi di affari internazionali, global view columnist del Wall Street Journal.

“Mentre Vladimir Putin ha rafforzato la sua presa sulla Bielorussia e intensificato la sua guerra di nervi contro l’Ucraina — spiega Mead — la Cina ha segnalato il suo sostegno alla politica ucraina della Russia, ha inviato un numero record di jet da combattimento attraverso la zona di difesa di Taiwan, ha condotto esercitazioni navali congiunte con la Russia vicino al Giappone e ha rafforzato la sua presenza navale tra il Giappone e Taiwan”. Ma secondo l’analisi dello studioso di Hudson Institute e Bard College tutto questo potrebbe finire per compattare il fronte US-lead in Europa e nell’Indo Pacifico. Il problema resta come questo modello di forza può essere visto da altri Paesi esterni ai due blocchi — anche a questo si lega la volontà americana di dialogare in ottica allargata.


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