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Senofonte, il sorteggio e le elezioni del Csm. Scrive Celotto

Da mesi si discute su come riformare le elezioni al Csm. Non si può fare altro che pensare a criteri rigorosi di trasparenza e controllo sulle decisioni, per evitare che gli eletti prendano scelte dettate dalla appartenenza e non dalla oggettività e dal merito

Collegi grandi o piccoli, numero di firme a sostegno dei candidati, liste o candidature individuali… da mesi si discute su come riformare le elezioni al Csm per evitare le interferenze delle correnti e dei gruppi , dopo quello che è emerso negli ultimi anni, a cominciare dal caso Palamara.

Sono tentativi interessanti, ma al fondo il problema resta. Per essere eletti servono i voti, per avere i voti occorre una campagna elettorale per cercare il consenso. Quindi servono inevitabilmente accordi, gruppi, influenze. Lo sa bene ciascuno di noi. Anche se si è candidato soltanto a rappresentante di classe al liceo: non si può essere votati se non ci si organizza.

Ed è un carattere della natura umana e ce lo insegna già la Atene del V secolo a.C. La patria della democrazia antica aveva cercato un metodo per evitare che un accumulo eccessivo di potere in una sola persona potesse incidere sulla libertà dei cittadini. Per usare le parole di Erodoto “Il governo del popolo anzitutto ha il nome più bello di tutti, uguaglianza dinanzi alla legge, … perché a sorte esercita le magistrature” (Erodoto, Storie, III, 80).

Il sorteggio era un sistema che garantiva l’alternanza e l’imparzialità senza l’influenza delle differenze di censo o di prestigio che avrebbero invece avuto gioco in un procedimento di tipo elettorale. Però, il sorteggio rischiava di portare al potere gli incompetenti. Cioè al rischio della democrazia “aleatoria”, cioè della democrazia del tutto casuale, come diciamo ora. Ma davvero c’era il rischio che con il sorteggio fossero chiamati a governare gli incompetenti?

Le opinioni erano diverse. Senofonte era molto scettico e in più passaggi ricorda che Socrate ripeteva spesso che il sorteggio era da considerare un’assoluta aberrazione, perché nessuno sceglierebbe per sorteggio il pilota di una nave oppure un flautista (Senofonte, Memorabili, I, 2, 9). Invece, Aristotele risolveva il problema all’opposto, ritenendo che nelle virtù del buon cittadino ci dovesse essere sia la capacità di essere governato sia quella di governare. Così poneva la famosa metafora dell’equipaggio della nave (Aristotele, Politica, libro III).

Ma al di là delle virtù e delle capacità dei cittadini, anche la antica Atene aveva stabilito che le cariche più importanti finanziarie e militari non erano per sorteggio, ma per elezione. Si trattava di un criterio di prudenza per evitare di mandare persone inesperte a gestire le casse dello stato oppure a comandare l’esercito (i famosi strateghi). Pericle, in quegli anni, per restare sempre al potere non a caso si fece eleggere stratega per 30 anni consecutivi, attirandosi tutte le critiche di Socrate.

E allora? Per governare la magistratura possiamo usare il sorteggio? Per potare al Csm una decina a caso dei quasi 10 mila magistrati italiani? Forse è meglio l’elezione, per scegliere persone competenti e rappresentative, ma nella consapevolezza che per essere eletti non si può fare a meno di cordate, gruppi e circuiti di formazione del consenso. Allora non si può fare altro che pensare a criteri rigorosi di trasparenza e controllo sulle decisioni, per evitare che gli eletti prendano scelte dettate dalla appartenenza e non dalla oggettività e dal merito.

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