La Nasa manderà in pensione la Stazione spaziale internazionale nel 2031. Per l’agenzia spaziale, il futuro delle orbite basse sarà in mano alle compagnie commerciali, ormai pronte ad assumersi l’onere. Il commento del prof. Paolo Gaudenzi, direttore del dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale dell’università La Sapienza di Roma
La Stazione spaziale internazionale (Iss) andrà in pensione nel 2031. Lo ha ufficializzato la Nasa, aggiornando il suo International space station Transition report del 2018. Dopo una carriera trentennale, l’avamposto umano oltre l’atmosfera tornerà sul nostro pianeta. Non sarà un rientro facile. La Iss, infatti, verrà fatta precipitare in modo controllato nel mezzo dell’oceano Pacifico, e si inabisserà nel cosiddetto “Punto Nemo”, il punto sul nostro pianeta più lontano da ogni terraferma che prende il nome dal celebre capitano del romanzo di Verne. E lì infatti, ventimila leghe sotto i mari, che si depositerà la Iss, in compagnia di altri veicoli spaziali tra cui, dal 2001, anche la sua omologa stazione spaziale russa Mir.
Un esempio di collaborazione
“L’Iss è un’esperienza unica anche rispetto alle condizioni di cooperazione internazionale” ha spiegato a Formiche.net il professor Paolo Gaudenzi, il direttore del dipartimento di ingegneria meccanica e aerospaziale dell’Università La Sapienza. La stazione, infatti, è il frutto di un collaborazione internazionale che ha coinvolto cinque agenzie spaziali: Nasa, l’Esa, Roscosmos, Jaxa e Csa-Asc. È in orbita dal 1998, “quando le due potenze dell’epoca, Usa e Russia, hanno stabilito una collaborazione internazionale molto estesa a cui hanno partecipato numerosi Paesi: costituisce un unicum e un esempio di solidarietà e collaborazione a cui guardare per il futuro sviluppo in orbita”.
Space law
“È importante rivedere la collaborazione internazionale nell’ambito spaziale in ottica di Space law, sviluppando un sistema di regole che garantiscano un accesso allo spazio che sia pacifico e per tutti. Augurandomi che sia questa la dimensione di implementazione delle future attività spaziali”, ha detto Gaudenzi. Non solo “accanto a questo si dovrebbero anche sviluppare nuove modalità per la vita fuori dal pianeta, come l’habitat lunare, che può prevedere nel prossimo futuro un gran numero di astronauti che andranno dentro e fuori l’atmosfera; anche nello spazio profondo al di fuori di qualsiasi ambito territoriale definito sul piano giuridico internazionale”.
Ruolo dell’Italia
Tra i diversi Stati che hanno contribuito all’Iss c’è anche “l’Italia che ha avuto un ruolo molto significativo nel progetto, costruendo una percentuale consistente dei moduli abitativi”, sottolinea il professore. “L’Italia, grazie alla forza del suo comparto industriale spaziale e le università dovrà parte della Space economy che si sta consolidando”. Ad esempio “il programma Artemis rappresenta una straordinaria prospettiva, poiché ha una forte propensione internazionale in cui anche il nostro Paese è protagonista ed è importante essere a bordo”, evidenzia il professore.
La messa fuori uso
“Il fatto che ci sia una chiusura delle attività dell’Iss in qualche modo corrisponde anche con la chiusura del normale ciclo di vita di un sistema spaziale e ci si prepara ad andare oltre”, sottolinea Gaudenzi. Il piano originario prevedeva l’attività della stazione fino al 2024, per poi estenderne l’operatività al 2031 in accordo con tutti i partner, tra cui la Russia. La decisione di rimandare di qualche anno la messa fuori uso della stazione dipende dal fatto che le condizioni della struttura primaria sono sufficientemente sicure. Dopo essersi distaccata dai moduli commerciali, nelle manovre deorbitanti per rientrare nell’atmosfera sarà assistita ad alcune navette spaziali senza equipaggio. Fino a oggi ha ospitato più di 3mila attività scientifiche ideate da oltre 4.200 ricercatori di tutto il mondo, coinvolgendo circa 110 Paesi.
Commercializzazione dell’orbita bassa
La Nasa ha dichiarato che la messa fuori uso dell’Iss segnerà una transizione al settore commerciale spaziale, per quanto riguarda l’orbita bassa più vicina alla Terra. “Il settore privato è tecnicamente e finanziariamente in grado di sviluppare e gestire destinazioni commerciali in orbita bassa, con l’assistenza della Nasa”, ha commentato alla BBC Phil McAlister, direttore dello spazio commerciale al quartier generale dell’agenzia spaziale americana. Dal momento che il settore privato rappresenta già una parte rilevante e consistente del programma spaziale statunitense, ad esempio nel trasporto di equipaggi e carichi, Washington ambisce a creare una solida economia spaziale a guida statunitense.
La prospettiva pubblica
Secondo la Nasa, lasciando al settore privato le attività spaziali nell’orbita bassa, si risparmieranno fondi stimati a circa 1,3 miliardi di dollari, che potranno essere investiti nei programmi di esplorazione del cosmo. Sarà quindi il settore privato ad assumersi, con le proprie stazioni spaziali commerciali, il mantenimento di un avamposto dell’umanità oltre la nostra atmosfera. Questo, tuttavia, non segna il completo abbandono da parte del settore pubblico delle orbite basse. Ne sono esempi le iniziative della Cina in questo senso. Secondo Gaudenzi, infatti: “L’orbita bassa, continua a essere di grande interesse anche per le preferenze nazionali, e le prospettive di sviluppo commerciale rispondono adesso alle esigenze della space economy”.
Le Stazioni spaziali del futuro
Nel 2020 la società texana Axiom space era stata scelta dalla Nasa per costruire un modulo abitabile commerciale da attaccare all’Iss, il quale si sarebbe poi staccato al momento di messa fuori uso della stazione per continuare la vita in orbita autonomamente. Non solo, la Nasa ha anche finanziato altre tre aziende per elaborare progetti di infrastrutture spaziali. “L’esperienza dell’Iss costituisce la premessa in termini di capacità tecnologiche e competenze per gli sviluppi dei futuri habitat extraterrestri, siano essi orbitali, lunari o marziani; ma rappresenta anche quanto la collaborazione internazionale può offrire di buono allo sviluppo di grandi missioni spaziali – ha concluso Gaudenzi – si tratta di uno spirito che dovrà animare, mi auguro fortemente, le grandi missioni del futuro”.