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Usa do it better. Così i fondi tornano a scommettere sugli Stati Uniti

Nell’attesa che il maxi-piano di Joe Biden esca dall’impasse al Senato, i grandi fondi previdenziali tornano a investire nell’immobiliare e nelle infrastrutture a stelle e strisce. Ma occhio all’inflazione…

Il mondo torna a puntare forte sugli Stati Uniti. E non c’entra il Build Back Better il maxi-piano da 1.750 miliardi di dollari concepito dall’amministrazione Biden, ma inchiodato al Senato. Stavolta a muovere i fili sono i grandi fondi previdenziali, imbottiti di denaro e sempre pronti a investire, in questo o quell’altro segmento dell’economia.

E così, mentre la Casa Bianca attende la fine dello stallo al Congresso, gli investimenti esteri in immobili e infrastrutture statunitensi hanno superato improvvisamente superato i livelli pre-pandemia. Ciò significa che nelle stesse settimane in cui Joe Biden si arrovellava il cervello per capire come portare a casa il suo ambizioso piano per la transizione ecologica, strade, ponti, scuole e molto altro, dall’estero cominciava a piovere denaro sugli Usa, complici ma non solo, l’allentamento delle restrizioni di viaggio e la ripresa della stessa economia statunitense.

Pensioni, fondi sovrani e altre istituzioni straniere hanno acquistato negli ultimi mesi oltre 70 miliardi di dollari di immobili commerciali, industriali e pacchetti azionari di alcune società attive nel campo delle infrastrutture. Si tratta del valore più alto dai 94,6 miliardi di dollari investiti nel 2018 e quasi il doppio della cifra del 2020, il primo anno della pandemia. Tutto questo è successo indipendentemente dai pacchetti pandemici messi in campo da Biden, Build Back Better incluso.

Se non altro, è un segno di una ritrovata attrattività del mercato americano, da sempre estremamente mobile anche per quanto riguarda i flussi di investimenti, i quali spesso seguono e si adeguano in fretta alla nascita di nuovi contesti favorevoli per chi investe, come dimostra il caso della Florida. Ma attenzione a un nemico subdolo e pericoloso, anche per chi investe: l’inflazione.

Non si spegne infatti la fiammata dell’inflazione negli Stati Uniti. A gennaio, secondo i dati diffusi dal dipartimento del Lavoro, i prezzi al consumo hanno registrato una crescita del 7,5% su base annuale, oltre il 7,2% atteso, segnando il tasso più alto dal 1982 ad oggi. Su base mensile, i prezzi sono aumentati dello 0,6% rispetto al mese precedente, contro attese per un +0,4%, dopo il +0,5% di dicembre. Il dato “core”, ovvero quello depurato dalla componente dei prezzi dei beni alimentari ed energetici, è cresciuto dello 0,6%, dopo il +0,6% del mese precedente, contro attese per un +0,4%.

Su base annuale, il dato generale ha messo a segno un +7,5% – più del 7,2% delle attese e sopra il 7% di dicembre – ovvero il rialzo maggiore dal febbraio 1982. Il dato “core” è cresciuto del 6%, dopo il +5,5% del mese precedente, il dato più alto dall’agosto 1982; le attese erano per un +5,9%. I prezzi del settore alimentare e quelli dell’energetico sono entrambi cresciuti su base mensile dello 0,9%. E nell’ultimo anno, i prezzi energetici sono aumentati del 27%, quelli dei generi alimentari del 7%. Male.

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